Discorso del Pontefice Massimo dei Gentili per il rinnovo del fuoco sacro nel marzo MMDCCLXXV a.V.c.

Oggi è il giorno del Rinnovo del Fuoco Sacro, presso i nostri templi il Fuoco di Vesta è stato rinnovato e da qui si diffonde nelle case dei Gentili che lo custodiscono.
Intorno a questo Fuoco Sacro si sviluppa tutta la nostra spiritualità, e tutta la nostra ideologia ascensionale.
Con questo giorno, il primo di Marzo, incomincia per noi romani e gentili l’anno Sacro, il rinnovo primaverile è prossimo e così il Fuoco Sacro del Sole si trasmette nel Fuoco Sacro del tempio che a sua volta si trasmette nel Fuoco Sacro dell’amor coniugale e dei nostri cuori.
In questo momento storico l’umanità è colta da mille paure, schiava di ideologie prende posizioni estreme e giunge fino alle guerre; che questo fuoco che noi oggi rinnoviamo possa illuminare gli uomini e spingerli a competizioni più sane: come la produttività, come l’intelletto, lo studio, l’ approfondimento, la competitività della solidarietà verso il prossimo e nel volersi bene.
Infatti chi oggi compie soprusi su terzi, non si rende conto che, abbandonato questo corpo, potrebbe rinascere nel più povero degli esseri umani e avere così un destino terribile da lui medesimo scritto e stabilito.
Invece il compito degli uomini di spirito è far si che non vi sia più povertà su questo pianeta, che non vi siano soprusi, è compito degli uomini di spirito adoperarsi per una nuova età dell’oro.
Gli Dei oramai giungono, ritornano dopo questi duemila anni di un’era in cui era stato concesso agli uomini di gestire i propri destini e che hanno ricavato rovine anziché benessere.
Possano gli Dei illuminarci e far si che ognuno di noi possa seguire l’ideale più alto: del bene, della sapienza, dell’età dell’oro, della condivisione in amore e in affetto attraverso il grande strumento della giustizia e dei diritti.
Possa la meritocrazia tornare ad essere il nuovo strumento di validificazione tra gli uomini, possa il fuoco illuminarci. Grazie.

DALL’ARENA ALL’AGORÀ: PER UN’EDUCAZIONE ALLA PAROLA

Di tutte le cose che la natura umana ha in sé, certo nessuna è più divina della parola, soprattutto della parola che cerca di comprendere la divinità. E niente ha più efficacia nella conquista della felicità.

                                                                                                                                             (Plutarco, De Iside et Osiride)

 

Quando l’anima, non riuscendo più a tener dietro ai carri degli dèi nella contemplazione delle idee, cade, l’umidità di lei fa sì che, al suo contatto con la terra, si ritrovi interamente ricoperta di fango. In esso ella riposa, e sin dal concepimento ne fa un rivestimento, cercando di dargli forma. Per fare ciò, ella necessita di ricorrere al suo fuoco interiore, affinché cuocia il fango. Tuttavia, questo fuoco è inizialmente molto piccolo, e rischia anzi di essere travolto esso stesso dal fango: ha quindi bisogno di essere ravvivato per poter separare l’acqua dalla terra. Col respiro l’anima lo alimenta, ma non tanto da farlo crescere. Infatti, esso necessita di ulteriore nutrimento, e a tal scopo son plasmate le orecchie. Tuttavia, nella caduta anch’esse restano mischiate al fango. Proprio al fine di liberarle, gli uomini hanno sviluppato l’arte della parola e dell’ascolto. I buoni padri e i buoni educatori sono infatti coloro che trasmettono il calore del proprio fuoco interiore tramite la propria parola: dapprima modellano le orecchie, insegnando al giovane ad ascoltare; poi, attraverso di esse, svolgono come l’azione del mantice che soffia sul fuoco, facendolo ardere sempre di più, finché esso diviene tanto caldo e potente da asciugare e modellare il fango e poter a sua volta essere d’aiuto ad altri. E durante il tempo necessario a ciò, essi, come abili scultori, devono ora scalpellare qua, ora levigare e limare là, ora inumidire o asciugare, e in generale evitare ogni asprezza della forma, data da un asciugarsi incerto o troppo rapido, o un improvviso cedimento.

Coloro che non riescono a liberarsi, continuano invece a non poter sentire gli altri, e non fanno per questo altro che agitarsi e gridare, ostili a tutti e tutto, incapaci di comprendere alcunché, soprattutto la propria condizione, che credono sia la medesima per tutti, e non mirano così neanche a liberarsi. Peggio ancora coloro che finiscono sotto cattivi educatori: essi si ritrovano appesantiti dalle forme grottesche e orrende assunte dal fango fattosi solido, e finiscono col credere che la propria forma coincida realmente con quella del loro sarcofago. E quando giunga qualcuno a cercar di far vedere loro quale sia la reale condizione in cui versano, per spronarli a liberarsene, lo travolgono con aspre parole, lo insultano e ne fanno oggetto di scherno, cercando talvolta persino il confronto fisico. Rendono così il mondo un campo di battaglia, dovunque passino lasciano il deserto, e della propria vita fanno una schermaglia continua.

Abbiamo voluto iniziare il nostro intervento con questo racconto d’ispirazione mitologica, che prende le mosse da due miti platonici (quello della biga alata, riportato nel Fedro, e quello della caverna, tratto dalla Repubblica) al fine di introdurre la trattazione di uno dei mali, forse il principale, che affligge i nostri tempi: l’incapacità di ascoltare.

Nonostante, infatti, la nostra epoca sia spesso connotata come quella della comunicazione, ciò che si riscontra di continuo nell’esperienza quotidiana è invece una assoluta incomunicabilità. I punti d’incontro costituiti da piattaforme come i social network, ormai da tempo i principali (e oggi quasi unici) spazi di aggregazione e discussione pubblica (pur gestiti e regolati dall’arbitrio di privati, cosa che meriterebbe una trattazione a sé), somigliano sempre più ad arene che non ad agorà. Si parla spesso di dialogo, ma quel che si vede effettivamente è solo un’apposizione e opposizione di monologhi, finalizzata non certo a esercitare la ragione insieme all’interlocutore, bensì ad aver ragione dello stesso, individuato quale nemico in quanto non aderisce alla stessa posizione. Quando ci comportiamo in tale maniera, come afferma Plutarco, nel nostro discorso siamo guidati dallo «spirito di contesa e di litigio sui problemi», e adoperiamo le argomentazioni «come se calzassimo il cesto o un guantone da pugile, per scontrarci gli uni contro gli altri», provando «più gioia nel colpire e mettere giù l’avversario che nell’imparare o insegnare qualcosa»[1].

Il fatto che già nell’antichità se ne trattasse, ci dice come questo non sia certo un problema nuovo[2], per quanto possa aver raggiunto dimensioni e pervasività prima mai viste: è invece qualcosa di attinente all’essenza stessa dell’uomo e alla sua crescita, sia individuale che comunitaria. La parola, infatti, non è un semplice strumento, che sia per comunicare o per altro; non è un qualcosa di esterno che appartiene all’uomo, che questi possiede quasi fosse una vanga o una zappa. Il termine λόγος (lógos), deriva dal verbo λέγειν (leghein), il quale vuol dire, si, parlare e discorrere, ma il cui significato primario, a partire dalla radice -λεγ, è “raccogliere” e “radunare”, ma anche “scegliere”[3]. Non sarà certo superfluo rilevare qui come la stessa radice sia anche quella di lex[4], legge e di termini a essa collegati, come eleggere. Ciò che la parola lega dunque non sono solo le cose e le parole tra loro, ma innanzitutto gli uomini. Essa è ciò che lega gli uomini più di ogni cosa. Già nel momento stesso in cui la parola viene concepita, in essa è implicito tanto l’io che proferisce, quanto il tu a cui è rivolta e che lo accoglie. Ci dice ancora Plutarco, infatti:

 

I più […] sbagliano, perché si esercitano nell’arte del dire prima di essersi impratichiti in quella di ascoltare, e pensano che per pronunciare un discorso ci sia bisogno di studio e di esercizio, ma che dell’ascolto, invece, possa trarre profitto anche chi vi si accosta in modo improvvisato. […] I bravi allevatori rendono sensibile al morso la bocca dei cavalli: così i bravi educatori rendono sensibili alle parole le orecchie dei ragazzi insegnando non a parlare molto, ma ad ascoltare molto.[…] E la natura, si dice, ha dato a ciascuno di noi due orecchie ma una lingua sola, perché siamo tenuti più ad ascoltare che a parlare.[5]

 

A una più attenta considerazione la prima che ci è necessaria tra queste attività, anche in ordine cronologico, nella nostra vita, è proprio quella dell’ascolto; ché altrimenti non impareremmo neanche a parlare. Anzi, a ben vedere, la prima, e condizione di tutte le altre, è la conquista del silenzio, cui soltanto segue la possibilità di dirigere attivamente (quindi per scelta) l’attenzione[6]. E probabilmente lo stesso linguaggio, come si può evincere dalla origine onomatopeica di moltissimi termini, non sarebbe mai nato, senza l’ascolto più attento di ogni lieve fruscio, del più flebile sibilo o scricchiolio, che richiede innanzitutto che l’uomo sappia ordinare e mettere a tacere il fluire confuso dei propri pensieri, il Polifemo (letteralmente “il rumoroso”, “colui dalle molte voci”) che risiede dentro di noi, e che col suo continuo vociare non ci consente serenità e ci allontana dalla coscienza, tenendoci prigionieri e terrorizzati all’interno della caverna e sbattendoci con forza, fino a far «sprizzare a terra il cervello»[7]. Ci sarebbe poi da chiedersi a che pro parlare se non si sapesse d’essere ascoltati e non si fosse disposti a propria volta a prestare ascolto. La situazione di oggi ne è una prova: parlare diventa un’attività sempre più rara. La “dissenteria verbale” (o verbosità) e le vicendevoli grida sono la norma, in una gara a chi alza di più la voce, con il risultato che a vincere è semplicemente chi dispone di altoparlanti in grado di sovrastare il rumore generale (se non anche, spesso, di aizzarlo, fomentarlo e dirigerlo). Si crea quindi un contesto in cui a prevalere è il più forte (leggasi il più ricco), non il migliore, e chi comanda lo fa non in virtù della concordia e della presenza di fini condivisi, di con-fini, rispetto ai quali si ritiene giusto ordinare la vita dei singoli e della città, ma piuttosto a causa della stasis di cui ci parla Platone[8], della inimicizia profonda che si scatena tra i simili e che dilania il corpo civile, fomentando la discordia e la «gravosa contesa», e quindi l’emergere di poteri tirannici fondati sull’odio e la paura che separano e isolano gli uomini. Non v’è tirannide in cui all’arroganza dei dominatori non corrisponda la viltà dei dominati. Ne Le Opere e i Giorni, Esiodo non a caso distingue due tipi o, per meglio dire, due diverse espressioni, di Contesa (Ἔρις), a seconda di come tale forza venga declinata all’interno dell’essere umano, e quali effetti generi[9]: la Buona Contesa è quella che spinge a gareggiare coi simili in virtù, esortando «anche il neghittoso al lavoro» e quindi a migliorarsi; quella cattiva «favorisce la guerra luttuosa e la discordia»[10]. Possiamo affermare che quando a prevalere è questa manifestazione di Eris, gli uomini non si riconoscono più tra loro. Ecco infatti la descrizione che Esiodo ci dà di quella che chiama età del ferro:

 

[…] e Zeus distruggerà anche questa stirpe di umani caduchi, quando ai nati biancheggeranno le tempie. Il padre non sarà simile ai figli, né i figli a lui; né l’ospite all’ospite o il compagno al compagno né il fratello sarà caro così come lo era prima. Non verranno onorati i genitori appena invecchiati, che verranno, al contrario, rimproverati con aspre parole[…]. Sciagurati! Che degli dei non hanno timore! Questa stirpe non vorrà ricambiare gli alimenti ai vecchi genitori; il diritto per loro sarà nella forza ed essi si distruggeranno a vicenda le città. Non onoreranno più il giusto, l’uomo leale e neppure il buono, ma daranno maggior onore all’apportatore di male e al violento; la giustizia risiederà nella forza delle mani; non vi sarà più pudore: il malvagio, con perfidi detti, danneggerà l’uomo migliore e v’aggiungerà il giuramento. La Gelosia malvagia, malèdica e dallo sguardo sinistro, s’accompagnerà con tutti i miseri umani.[11]

 

Notiamo qui come l’età del ferro consista sostanzialmente nel venir meno della sacralità di ogni legame e nella negazione di tutti i valori della pietas: Dei, Patria e Famiglia vengono totalmente disconosciuti, e ciò si lega in via diretta con la mancanza assoluta di giustizia e l’assenza del Diritto. In virtù di quanto visto finora, possiamo dire che ciò che viene meno in tale epoca è la linea della parola, di quel respiro che viene trasmesso da una generazione all’altra, passando per quelle porte dell’anima che sono le orecchie.

Il continuo rinnovarsi della tradizione dimostra che per millenni e millenni gli uomini sono stati in grado di ascoltarsi, che numerosissime generazioni sono state capaci di trasmettersi amore e conoscenza, o forse è più corretto dire che proprio per amore si sono tramandate la sapienza e hanno continuato a coltivarla e farla crescere. Dove cercheremo, infatti, la fonte del mito, se non nell’amore di un padre e di una madre che vogliono ardentemente che i figli crescano alla piena luce, che i loro occhi ne possano godere senza restarne feriti, senza fuggirla né temerla? Il μῦθος (mythos) è parola, ma come ci indica la sua stessa derivazione dal verbo μύειν (myein), il quale significa chiudersi, star serrati, principalmente riferito alla bocca e agli occhi (si pensi anche all’italiano muto), è parola che va ascoltata, verso la quale ci mettiamo attivamente all’ascolto, rimanendo in silenzio e concentrandoci unicamente su di essa. È una parola che dobbiamo accogliere e coltivare al nostro interno[12]. Come quando, raccolti attorno al fuoco, ascoltiamo i racconti. Vediamo così come emerga l’altro significato, sicuramente più conosciuto, di mito: narrazione e racconto. E nel suo stimolarci all’ascolto, il mito ci indica al contempo la via della riflessione, della considerazione attenta dei suoi elementi, alla maturazione interiore delle giuste domande, prima ancora che la ricerca delle risposte. Su tale modello possiamo vedere anche scuole come quella pitagorica, la cui prima tappa consiste in un periodo di silenzio assoluto, dedicato al solo ascolto del maestro e dei suoi insegnamenti, gli ἀκούσματα (akúsmata, letteralmente, le cose udite)[13]. L’iniziato è poi detto μύστης (mystes), cioè colui che osserva il silenzio iniziatico[14] ed è in grado di udire la voce del suo δαίμων (dáimon), il genius latino. Tornando al mito, lo stesso poeta, prima di cantare le gesta eroiche e divine che ne sono oggetto, inizia la propria opera invocando le Muse. Il suo ruolo diviene quindi quello di esprimere quanto ascoltato dalla divinità in maniera intelligibile agli uomini. La mitologia trova la sua radice nella volontà del poeta di rendere il mito accessibile traendone dei logoi, scegliendo in modo che siano adatti all’uditorio, rivelando gradualmente il legame intimo tra tutte le cose e dando tutti gli strumenti per  giungere alla Ἀλήθεια (Alétheia), cioè al dis-velamento, la rimozione dell’oblio[15].

È però frequente che molti non riescano ad andar molto oltre il significato letterale e, nella fretta di emettere un giudizio, anziché interrogare se stessi bollino come fantasticherie, invenzioni e finanche menzogne, tali racconti. Da cui l’accostamento del mito a qualcosa di falso.

Le considerazioni finora fatte, per quanto brevi, ci consentono di comprendere che il verbo parlare ha una coniugazione particolare, in cui la prima e la seconda persona procedono assieme e in maniera complementare: io parlo, tu ascolti; io ascolto, tu parli. È così che nasce il dialogo: dall’alternarsi degli interlocutori nella coniugazione del parlare. O, ancor meglio, dalla coniugazione degli interlocutori nel parlare. Infatti, tramite il lógos, le anime sono come unite in matrimonio, e questo, se condotto onestamente, consente a ciascuna di esse di accogliere i migliori semi e partorire nuovi e ottimi frutti. La parola è un ponte verso l’altro, ma anche una porta verso se stessi, e dunque qualcosa che va profondamente meditato e ponderato, sia quando è proferita che (e ancor più) quando viene accolta. Se non facciamo ciò, i nostri discorsi non saranno altro che parti di vento infecondi, come dice Plutarco[16]. Saremo invero noi a diventare sterili, portatori di un lógos vuoto, la cui continua emissione è quasi un tentativo di sopperire alla sua mancanza di concretezza, di incisività sul mondo. Ci sarà inoltre estremamente difficile non solo riconoscere e trarre profitto da un discorso utile, ma anche smascherare quelli falsi e dannosi, dai quali saremo facilmente ingannati e traviati.

Se si vuole essere realmente liberi, bisogna quindi, seguendo l’esempio degli antichi, coltivare se stessi anzitutto nel silenzio e nella pratica dell’ascolto, deponendo la presunzione e la superbia, così da disarmare il nostro più temibile carceriere: l’ignoranza. Potremo allora sciogliere i vincoli che ci tengono relegati nel fondo della caverna e iniziare l’ascesa per uscirne.

 

BIBLIOGRAFIA

 

  • Cicerone, Delle Leggi, a cura di A. Resta Barrile, Zanichelli, Bologna, 1972;
  • Enciclopedia Filosofica, Bompiani, Milano, 2006;
  • Esiodo, Le Opere e i Giorni, a cura di S. Rizzo, Rizzoli, Milano, 1979;
  • Omero, Odissea, trad. it. G. Aurelio Privitera, Fondazione Lorenzo Valla, 1983;
  • Platone, Repubblica, a cura di G. Lozza, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1990;
  • Plotino, Enneadi, a cura di G. Faggin, Rusconi, Milano, 1992;
  • Plutarco, Tutti i Moralia, a cura di E. Lelli e G. Pisani, Bompiani, Milano, 2017;
  • Plutarco, L’arte di saper ascoltare, a cura di M. Scafidi Abbate, Newton Compton Editori, 2006.

 

[1]Plutarco, Come constatare i propri progressi nella virtù, 80b, trad.it Giulio Pisani, in Tutti i Moralia, Bompiani, Milano, 2017.

[2]Sempre che ci siano problemi realmente nuovi, e non piuttosto modi diversi di guardarvi.

[3]Cfr. https://www.etymonline.com/word/*leg- . Si veda anche la voce Logos in Enciclopedia Filosofica, Bompiani, Milano, 2006, vol.7, pp. 6756-6767. Ne citiamo qui solo un estratto: «la radice – λεγ – è la medesima per entrambi [λόγος e  λέγειν. n.d.a.], e tuttavia il significato primario di λέγειν non è “dire”, bensì “raccogliere”, “radunare”, epperò “scegliere”, e di seguito “enumerare”, “contare”; solo alla fine è “narrare”, “parlare”, “dire”[…]. Evidentemente il “dire” è una forma eminente dello scegliere e del raccogliere».

[4]«Nel significato stesso del termine legge è insito il concetto di scelta del giusto e del vero», ci dice Cicerone in De Legibus, II, V 11.

[5]Plutarco, L’arte di ascoltare, 38D 5 – 39 B 6.

[6]Passando così dalla categoria del patire a quella dell’agire. Non a caso, agere vuol dire proprio condurre.

[7]Si veda Omero, Odissea, IX, v. 290

[8]Vedi Repubblica, 470b.

[9]«Sulla terra non v’era un solo genere di Eris, bensì due ve ne sono; e mentre l’una è lodata da chi ben la conosce, l’altra è riprovevole: hanno infatti indole diversa» (Esiodo, Le opere e i giorni, vv. 11-13).

[10]Ivi, vv. 14-20.

[11]Ivi, vv. 180-196.

[12]In un antro buio nasce Hermes, dio della parola e del silenzio, figlio di Zeus e Maia!

[13] Anche il nostro sistema scolastico è tuttora strutturato (almeno in linea di principio), sebbene prevalga adesso l’orientamento alla nozione invece che all’educazione, in maniera tale che il percorso dello studente sia soprattutto una lunga pratica nell’ascolto degli insegnanti. Solo a conclusione e coronamento del percorso universitario gli viene infatti richiesto di formulare quella che deve essere una sua tesi originale.

[14]Riguardo l’importanza del silenzio all’interno del percorso spirituale, particolare interesse meritano le considerazioni svolte da Plotino, il quale mostra come esso sia condizione necessaria alla ricezione della verità che viene dall’Uno: «Ma in chi è assolutamente semplice [l’Uno] quale processo è possibile? Nessuno, ma basterà un semplice contatto interiore. Ma durante il contatto, almeno finché avviene, non si avrà affatto né la possibilità né il bisogno di parlare: solo più tardi si potrà ragionarci sopra. Ma in quell’istante bisogna credere d’aver visto, quando l’anima coglie, improvvisamente, la luce. Poiché questa luce proviene da Lui, o meglio è Lui stesso […]. Questo è il vero fine dell’anima: toccare quella luce e contemplarla mediante quella stessa luce […]. Nemmeno il sole si vede mediante una luce diversa. Ma come può avvenire? Abbandona ogni cosa [Ἄφελε πάντα]» (Enneadi, V, 3, 17).

[15]Perché porre dei veli, se non per rendere visibile ciò che i nostri occhi non sono ancora in grado di vedere senza tale mediazione? Possiamo pensare al famoso lenzuolo del fantasma, usato in molte rappresentazioni: ci nasconde il suo vero aspetto, ma al contempo ci consente di percepirlo.

[16]Si veda Plutarco, L’arte di ascoltare, 38E.

La società odierna procede esattamente in questa direzione: dando continui impulsi a comprare, cliccare, dare opinioni, “comunicare” (che cosa poi?) senza mai dare sosta, non consente all’uomo di maturare, divenire fecondo, e dunque porta unicamente ai suddetti parti di vento. Nell’uomo che cresce (o piuttosto invecchia) senza maturare «rimane non la puerizia, ma, ciò che è più grave, la puerilità: e in questo è peggiore la nostra condizione, che abbiamo l’autorità dei vecchi e i vizi dei fanciulli, anzi degli infanti». L’infantilismo è la condizione cui è relegata la maggior parte degli uomini odierni, soggetti a pulsioni e capricci che si fanno via via più tirannici e che ne fanno però un consumatore perfetto, facile da dirigere al pascolo o nel suo navigare, estremamente recettivo a ogni impulso all’acquisto.

Ipazia con il padre Telone, tratto dal film Agorà.

IL CONCETTO DI REINCARNAZIONE IN ALCUNI FILOSOFI ANTICHI

Dott. Filippo Cavatore (Gruppo Filosofi Pietas)

Ipazia con il padre Teone, tratto dal film Agorà.

Come è noto, il concetto di reincarnazione o metempsicosi è presente nel pensiero greco antico (oltrechè, ovviamente, in molte filosofie e religioni nel mondo – basti pensare all’Induismo o al Buddismo). Nell’Orfismo, in Pitagora e nella sua scuola, nonché in Platone e negli sviluppi successivi della sua filosofia, culminanti nel Neoplatonismo, avente come massimi esponenti, Plotino, Giamblico e Proclo, se ne parla diffusamente al punto che può essere considerato uno dei temi fondamentali del loro pensiero (Platone, La Repubblica; Plotino, Enneadi et alia).  Meno nota è la presenza della metempsicosi in altri pensatori del mondo classico: tratteremo qui, in particolare, di Empedocle e di Plutarco.

Empedocle nacque ad Akragas, l’odierna Agrigento, intorno al 470/469 a.e.v. E’ annoverato fra i cosiddetti “fisici”, ovvero coloro che indagarono la natura, cercando di individuare l’origine del mondo e delle leggi che lo governano. Cercò di conciliare le precedenti dottrine ioniche, pitagoriche, eraclidee e parmenidee, sostenendo che la realtà mutevole è distinta dai suoi fondamenti, identificati nei quattro elementi (chiamati da Empedocle “radici”): fuoco, aria, terra, acqua. Essi sono soggetti all’azione di due principi: Amore (Φιλότης) e Odio (Νεῖκος); il primo unisce mentre il secondo separa, da questo agire contrastante i singoli esseri sono generati e ritornano alla loro origine, in un continuo processo di trasformazione. Nel poema “Le Purificazioni” Empedocle riprende la teoria orfica e pitagorica della metempsicosi, sostenendo che sussiste una legge di natura la quale fa in modo che gli uomini scontino le proprie colpe – la cui causa è l’aver soggiaciuto a Odio – per mezzo della trasmigrazione da un essere vivente all’altro; in virtù di tale legge, ciascuna anima, nel corso dei millenni, si incarna in un essere (animale o vegetale) al momento della nascita di questo, e vi permane fino alla morte dell’essere stesso, quando, dopo averlo abbandonato, erra nel cosmo fino alla successiva reincarnazione.

«È vaticinio della Necessità, antico decreto degli dèi ed eterno, suggellato da vasti giuramenti:

se qualcuno criminosamente contamina le sue mani con un delitto o se qualcuno 〈per la Contesa〉 abbia peccato giurando un falso giuramento, i demoni che hanno avuto in sorte una vita longeva, tre volte diecimila stagioni lontano dai beati vadano errando nascendo sotto ogni forma di creatura mortale nel corso del tempo mutando i penosi sentieri della vita. L’impeto dell’etere invero li spinge nel mare, il mare li rigetta sul suolo terrestre, la terra nei raggi del sole splendente, che a sua volta li getta nei vortici dell’etere: ogni elemento li accoglie da un altro, ma tutti li odiano. Anch’io sono uno di questi, esule dal dio e vagante per aver dato fiducia alla furente Contesa.» ( Empedocle, D-K 31 B 115, traduzione di Gabriele Giannantoni in Presocratici vol.1, Milano, Mondadori, 2009, pp.410-411)

Plutarco fu uno scrittore, filosofo e sacerdote greco, con cittadinanza romana. Nacque a Cheronea fra il 46 e il 48 p.e.v. e morì a Delfi fra il 125 e il 127 p.e.v. Fu autore di numerose opere di carattere storico, filosofico e scientifico, tra cui la più nota porta il titolo di “Vite parallele”, in quanto sono accostati e confrontati personaggi notevoli della storia ellenica e di quella romana. Nel meno noto trattato “Sulla tarda vendetta degli dei”, in forma di dialogo, Plutarco presenta un cosmo tripartito: una dimensione celeste in cui soggiornano le anime definitivamente purificate; un secondo stato collocato sempre in cielo, ma ad un livello più basso, che ospita le anime penitenti, soggette alle punizioni inflitte da Dike (la giustizia divina); infine la terra ove le anime subiscono successive reincarnazioni, anche in forme animali, per liberarsi dalle loro colpe.

Oltre alle fonti filosofiche, il tema è presente anche nella poesia. Come esempio, citiamo il poeta latino Ovidio che riporta l’episodio in cui Poseidone fa reincarnare il figlio Cicno, ucciso da Achille durante la guerra di Troia, in un cigno ( Ovidio, Metamorfosi, libro XII)
; in Virgilio, durante la discesa agli inferi di Enea, vi sono tracce di una concezione orfico-pitagorica, quando Anchise parla al figlio di una teoria dei ciclica delle rinascite, affermando che le anime dei Campi Elisi si immergono nel fiume Lete,  per dimenticare le vite precedenti e poter dunque reincarnarsi in nuovi corpi terreni (Virgilio, Eneide, libro vi).

Ercole ed Alcesti

Nella sua opera “La reincarnazione nel mondo antico”, Edouard Bertholet (ed. Mediterranee) cita alcuni autori cristiani che ammettono la dottrina della metempsicosi considerandola in sintonia con la teologia cristiana: san Giustino afferma che ‘Alcune anime che si credono indegne di vedere Dio a seguito delle loro azioni durante le reincarnazioni terrene, riprenderanno i corpi’; in san Girolamo si legge: ‘Non conviene che si parli troppo delle rinascite, perché le masse non sono in grado di comprenderle’; san Gregorio di Nissa: ‘L’anima immortale deve essere risanata e purificata, se non in questa vita terrestre, nelle vite future e successive’; infine, Lattanzio sostiene che l’anima può essere immortale solo se preesiste alla nascita e che è destinata a reincarnarsi successivamente nel corso del tempo. Constatiamo, pertanto, come questa antica dottrina sia presente anche in alcuni appartenenti ad un credo religioso che ufficialmente la nega, considerandola errata e inconciliabile con quella che essi considerano l’unica vera.

Erigido el Templo de Minerva Medica en Pordenone

Erigido el Templo de Minerva Medica en Pordenone

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La Asociación Tradicional Pietas ha erigido un nuevo Templo, dedicado a Minerva Medica, en Pordenone.

El presidente Giuseppe Barbera lo anunció en la página oficial de Facebook de la Asociación de Pietas Tradicionales:

“El Templo de Minerva Medica en Pordenone, cuya primera piedra fue colocada el 15 de agosto, es hoy 20 de agosto de 2771 ab V.C. terminado en su geometría esencial. El trabajo en el aparato decorativo comenzará mañana. Desde hoy las comunidades de los Tradicionalistas Romano-Italiano del Triveneto tienen un punto de referencia fundamental para el retorno a lo Sagrado. Pietas non verba sed res”.

El 9 de agosto, nuevamente en la página oficial de facebook de la asociación, se publicaron los dibujos de diseño del Templo, desarrollados por el presidente Barbera y el ingeniero estructural Tricoli, vicepresidente de la Asociación Tradicional Pietas y presidente del club CPPT KR.

Parecía imposible, pero en solo cuatro días los militantes locales de la Pietas, apoyados activamente por la junta nacional de la Asociación, lograron erigir un espléndido Templo peripteral circular con un pronaos distyle rectangular in antis. Al este del Templo se encuentra la estatua de la Minerva Médica de Pietas, frente al “Templo el Mundus del Santuario y el altar dedicado a la Diosa forman una línea simbólicamente muy importante y fundamental para la conexión entre el mundo humano y las dimensiones divinas de lo sagrado”, nos dice el entrevistado presidente Barberá.

El Templo ya tiene su propio rector designado por el presidente y está efectivamente activo desde el 15 de agosto.

La función de este lugar es fundamental para los miembros piadosos del noreste de Italia. Finalmente, ellos también, como nosotros en Roma, tienen un lugar asociativo, abierto a aquellos interesados en revivir realmente las formas de la antigua sacralidad romano-itálica, donde pueden desarrollar actividades culturales y cultuales relacionadas con los objetivos de la Pietas: la cultura clásica.

El Templo está oficialmente abierto para el uso de los practicantes de la tradición Romano-Itálica y de los grupos griegos que trabajan por el resurgimiento del culto a los Dioses y con quienes estamos desarrollando lazos cordiales y felices de respeto mutuo, eficiencia y amistad.

En primer lugar, el grupo Thyrsos, que con Pietas acordó un programa de acción para intentar resurgir la Tradición griego-romana de la mejor manera posible. Pietas también extiende su profundo agradecimiento a los grupos YSEE, que hasta ahora han mostrado cordialidad, hospitalidad y amor por los mismos ideales de retorno a lo sagrado.

Le preguntamos al presidente Barberá ¿qué es que impulsa a la Asociación a construir Templos?

Pietas está llevando a cabo la erección de Templos a los Dioses para permitir que los hombres impulsados por nobles ideales y virtudes tengan lugares donde puedan reconectar esa relación directa entre hombres y Dioses que se nos ha negado durante dos milenios. El nuestro es un gesto de libertad guiado por un profundo espíritu de compartir, además al amor por lo que hacemos.

¿Tendrán lugar los ritos en el Templo de Minerva Medica?

En nuestros Templos se desarrollan ritos de ofrendas a los Dioses, pero también es posible solicitar oráculos, deseos, realizar votos o incluso acceder a una iniciación cívica. Además, Minerva Medica es una divinidad de apoyo espiritual a las enfermedades y los fieles le rezaban para que les sugiriera un buen médico o una medicina para curar. Junto a Esculapio y Salus pertenece al grupo de las “divinidades terapéuticas”, por las cuales se reza para curar enfermedades físicas y psíquicas. Minerva Medica es para nosotros la inteligencia divina que ilumina al médico, que a menudo puede actuar, inconscientemente, por intuición divina más que por la propia. Al mismo tiempo, considerando que muchos males surgen realmente de los desequilibrios internos (este es el caso de las somatizaciones), Minerva Medica es esa inteligencia virginal, pura, liberada de miedos e impresiones negativas (el terror de Júpiter a ser destronado) que permite el logro de un equilibrio interior, capaz de hacernos espiritualmente más fuertes frente al mal y más valientes, que nos ayuda a matar a los monstruos internos (la Minerva que sugiere a los héroes cómo ganar a Medusa, la Quimera etc.) para conducir a un nuevo equilibrio que evite somatizaciones. Todos pueden rezarle libremente, quien quiera, incluso en este Templo.

¿A qué te refieres con iniciación cívica?

De las corrientes de la actividad popular, nos basamos en la iniciación cívica que hizo del hombre sacerdote de sí mismo y de su familia, que inició y fundó su camino en el culto a los Lares y a los Antepasados, que luego siguió el refinamiento de la práctica para los Dioses, sobre esto los romanos emitieron leyes muy claras con una ley sagrada bien estructurada. Por tanto en nuestros Templos, como todavía se hace hoy en Crotone en la romería al Templo de Hera Lacinia (para familias aún vinculadas a tradiciones ancestrales), es posible llevar a cabo, en las fechas adecuadas para ello, la enseñanza del culto a los Lares y Ancestros siguiendo los preceptos informados por los rectores y sacerdotes de los mismos Templos.

El acceso al culto a los Dioses y a los colegios internos es posible para todos aquellos miembros de buena voluntad que quieran practicar la Tradición de sus tierras y de sus propios linajes.

¿Con qué frecuencia se realizarán las actividades en el Templo?

La estructura es nueva hoy, pero brindaremos un desarrollo regular de actividades, al igual que en el Templo de Júpiter. Ciertamente, los primeros ritos abiertos al público se llevarán a cabo a partir de septiembre.

Actualmente ya es posible contactar reuniones de solicitud con cita previa para visitar el Templo y profundizar en las actividades de culto y cultura de nuestra asociación. Simplemente escriba un correo electrónico a info@tradizioneromana.org . Para conocer las actividades programadas, consultar de vez en cuando, la página de eventos en el sitio web www.tradizioneromana.org o la página oficial de Facebook de la Asociación de Pietas Tradicionales https://www.facebook.com/AssociazioneTradizioneromana

Agradecemos al presidente Barberá por el tiempo concedido y a la Asociación Pietas por su trabajo.Nuevos lugares de luz antigua están ahora presentes en Italia.

  1. 25/8/2018

Templo de Júpiter, erigido en Roma

Noticias internacionales: Templo de Júpiter, erigido en Roma

 

El 10 de mayo MMDCCLXX, año de la fundación del Urbe (2017 de la era moderna) el Templo de Júpiter, erigido por la Associazione Tradizionale Pietas en Roma (Asociación Tradicional Pietas), se termina en su geometría. Ahora comenzará el trabajo de decoración, pero el Templo ya está activo.

Fue anunciado por el Presidente de la Asociación Tradicional Pietas Giuseppe Barbera.

Construido alrededor de un área dedicada en septiembre de 2012 por Giuseppe Barbera siguiendo un voto recibido, la primera piedra del Templo se colocó el 13 de julio de 2013. Desde entonces, Pietas ha operado para su construcción. Es el resultado de un viaje iniciado en 1961, cuando Gianfranco Barbera hizo una máscara de Júpiter en terracota que un día se habría exhibido en ese Templo: este día es hoy gracias a él.

Consagrado a Júpiter Optimum et Maximum, el Templo está diseñado para albergar en su celda los altares de Júpiter, Juno y Minerva. El Templo es un tetrastilo in antis en estilo Corintio, el podio ha sido realizado con bloques de toba de la Magna Grecia, zona de nacimiento y desarrollo de la Asociación Pietas. La trabeación acogerá los frisos necesarios, útiles para representar los elementos esenciales para el desarrollo espiritual del ser humano. En lo profundo de las verdes colinas, forma parte del pequeño Santuario Romano levantado por Pietas desde diciembre de 2012 con la consagración de Aedes Romae Pietatis, el Templo del hipogeo, distilado en antis, el centro de los misterios romanos aplicados, claramente deducidos de la interpretación de las obras de Virgilio.

Ningún elemento dentro de este Santuario se deja al azar: cada elemento está dispuesto con lógica y conciencia, para convertir una simple visita al lugar en un camino expresivo hacia los fundamentos espirituales del mundo clásico. La presidencia de Pietas está organizando el calendario operativo del Santuario, con el fin de inaugurar el Templo al público y completar sus funciones; sin embargo, ya está activo para los miembros de la Asociación.

En el Sanctuarium Pietatis habrá Templos, quioscos y espacios dedicados a actividades educativas. Se iniciarán cursos educativos sobre la Tradición romana y el mundo clásico; incluso será posible seguir el camino del culto doméstico y/o, para los más merecedores y dispuestos, se pondrán a disposición caminos sacerdotales, que parten de los misterios de Saturno y continúan según las tendencias personales.

El Santuario tendrá horarios de apertura al público y será posible visitarlo libremente. Es posible llevar devociones personale a los Dioses, liberarse de los propios votos, pedir deseos y oráculos y ofrecer asistencia espiritual a quienes la demanden. Hoy en Roma hay un lugar de culto romano donde se puede practicar libremente el amor por los Dioses.

Muchos lo han llamado “el primer Templo romano en Roma” después de siglos de mentes oscurecidas, como Júpiter es el Dios del cielo brillante, el Dios en el que se manifiesta la luz intelectual, le hemos dedicado el Templo erigido y abierto por el bien de la humanidad.

A los hombres virtuosos y de buenas intenciones les pedimos ayuda para el crecimiento del Santuario de la diosa Pietas, del Templo de Júpiter y para la difusión de los saludables valores de la Romanitas y el culto clásico. Quienes quieran ayudarnos materialmente y quienes quieran financiar la compra de los materiales necesarios para el desarrollo del Templo y los periódicos dedicados a los Dioses pueden escribirnos a info@tradizioneromana.org

Gracias a todas las personas que nos ayudaron, a quienes continúan haciéndolo y a quienes lo harán en el futuro: ¡este es su Templo!

(artículo publicado en Ereticamente el 20 de mayo de 2017)

Ersilia e le donne sabine.

E’ opinione diffusa che la civiltà e la cultura di Roma siano state maschiliste e patriarcali. Questa idea si basa innanzitutto sulla constatazione che i Romani discendevano da popolazioni indoeuropee, la
cui società si basavano su presupposti considerati espressione di una supremazia maschile. E’ pensiero diffuso inoltre che, a Roma, le donne fossero prive di personalità giuridica, cosa che si rifletteva anche nell’onomastica.
Mentre l’uomo era contraddistinto dai tria nomina, praenomen, il nostro nome personale, nomen, quello della gens e cognomen (antico
soprannome, che passa poi ad indicare le varie famiglie nell’ambito della gens) la donna era indicata con il solo nome della gens al femminile. In realtà il soprannome, che spesso ridicolizzava per gioco alcuni aspetti dell’uomo, non si usava sulla donna esclusivamente per rispetto nei suoi riguardi.

Si pensa inoltre che la donna fosse giuridicamente una eterna minorenne, destinata a passare dalla tutela (manus) del padre a quella del marito, e poi
eventualmente a quella di un tutore. In realtà tutela nel mondo romano ha un significato diverso rispetto all’attuale mondo islamico: nel mondo romano sta per garanzia, protezione dai pericoli, difesa. In età imperiale è infatti riscontrato che la donna avesse, de facto, una sua autonomia, la possibilità di amministrare i suoi beni e di decidere della sua vita, con l’ausilio di un tutore maschio (padre o marito) che aveva il compito di garantire che nessun farabutto approfittasse di lei o le truffasse la dote. L’idea preminente degli studiosi è che la donna romana, almeno all’inizio, fosse stata condannata ad un destino di cittadina di serie B, sottomessa totalmente alla volontà dei membri
maschili della sua famiglia, senza la possibilità di agire autonomamente, di esprimere una sua opinione, o di poter incidere nella vita della sua famiglia e della sua città. In realtà le cose non stanno affatto così. Nella storia di Roma non mancano le figure di donne che, grazie alla loro personalità e alle loro qualità, seppero imporsi
all’attenzione e spesso all’ammirazione di contemporanei e posteri, e lasciare una traccia indelebile nella storia della loro città, mutando
spesso il corso degli eventi.  Iniziamo questa carrellata di ” Mulieres Clarae “, come avrebbe detto Giovanni Boccaccio, con la prima romana che
emerge dalle pieghe della storia e del tempo: Ersilia, moglie di Romolo e, con lei, le donne sabine.

21/8/749 a.e.v. Sono passati poco più di quattro anni dalla fondazione di Roma. Nella valle tra Palatino e Aventino, la Vallis Murcia, i giovani romani stanno apprestando i palchi che accoglieranno gli ospiti di altre città, per lo più sabine, invitati ad assistere ai giochi e alle corse di cavalli in onore del dio Conso, dio dei granai, cui si consacrerà un altare sotterraneo. In un palco speciale, prenderà posto Romolo, il re fondatore, che ha invitato i popoli confinanti all’importante festa. In realtà questo invito cela uno scopo segreto.

Roma, fondata 21/4/753 a.e.v., è rimasta città di quasi soli uomini: pastori dei dintorni, rifugiati politici, sbandati, briganti e poco di buono scacciati dalle rispettive comunità, ma accolti da Romolo
nell’asylum, luogo fra le due selle, l’arx e il capitolium, dopo la promessa di cambiare vita e di fare qualcosa di utile per la città.
Mancano però le donne, senza le quali Roma rischia di sparire nel corso di una generazione. Romolo manda quindi ambascerie ai popoli vicini,
Ceninensi, Antemnati, Crustumini e soprattutto Sabini, per stringere alleanze mediante matrimoni fra i suoi sudditi e le figlie degli stranieri. Questi però rifiutano, perchè la fama dei Romani è pessima e
nessuno vuole averli come generi, o forse temevano che se Roma fosse cresciuta si sarebbe imposta occupando i loro territori ed il loro spazi.

Il momento è grave, ma Romolo elabora lo stratagemma delle celebrazioni in onore del dio Conso. I vicini accorrono, anche per la curiosità di
conoscere la nuova città,e, fra le loro donne, le più belle sono le vergini sabine, che spiccano per i loro begli abiti bianchi. La festa si protrae per tutta la giornata, fra giochi, corse di animali, allegria,
canti, frequenti libagioni di buon vino.

Verso sera, al segnale convenuto dato da Romolo, i giovani romani si gettano sulle ragazze ospiti e, approfittando dello sconcerto e forse dell’ebbrezza che ha colto i loro parenti maschi, rapiscono le
più belle. Gli ordini di Romolo sono tassativi: rapire solo le fanciulle vergini e, soprattutto, trattarle con il massimo onore e rispetto, senza assolutamente maltrattamenti, forzature e violenze. Accade però che, nel parapiglia generale, venga rapita anche una donna già sposata, Ersilia che, per rimediare all’errore, Romolo terrà per sè. I genitori e i
parenti delle ragazze, sconsolati tornano alle loro abitazioni, meditando vendetta.

Intanto, le fanciulle rapite, dapprima oltraggiate dal gesto e timorose per il loro futuro, vengono rassicurate dalla gentilezza e dall’affetto che i rapitori dimostrano nei loro confronti e dalla fattiva
condivisione di beni e cittadinanza. Rifiutano perciò di ritornare alle loro famiglie. Al contrario, i loro parenti non si rassegnano e i Ceninensi, gli Antemnati e i Crustumini mandano ambascerie al re sabino Tito Tazio, il più potente fra loro, che però indugia a muovere guerra ai Romani. Si muovono allora prima i Ceninensi e poi gli Antemnati, che
vengono però sconfitti. Mentre Romolo esulta, ecco però intervenire Ersilia. Mossa a compassione dalle preghiere delle ragazze rapite, che temono per la sorte dei loro cari sconfitti, prega il marito di deporre ogni ostilità e di accogliere i vinti come cittadini così da formare un unico popolo, cosa che ottiene senza difficoltà. Evidentemente l’ascendente che questa giovane e bella matrona ha su Romolo, ha già ingentilito l’animo bellicoso del marito e lo ha predisposto a deporre ogni rancore  e a condividere bene e destino con i vinti, divenuti nuovi cittadini.

A questo punto, i Crustumini decidono di abbandonare la lotta e vengono pacificamente integrati nella nuova realtà romana. Ersilia ha quindi ottenuto un grande risultato, il superamento di  odi e rancori tra i mariti e i parenti delle rapite. Il difficile, però, deve ancora arrivare. Infatti i potenti sabini non rinunciano a combattere per riavere le loro figlie e, grazie all’inganno e al tradimento di Tarpea, figlia del custode del Campidoglio, riescono ad espugnare la rocca.

Il giorno dopo scoppia, nella valle del Foro, tra i Romani che scendono dal Palatino e i Sabini che calano dall’altura occupata, una violenta battaglia. Dopo alterne vicende e molto sangue versato, i Romani stanno per prevalere, ma a questo punto le donne sabine, disperate, vinta ogni paura, molte incinte e altre con in braccio i figlioletti nati dalle
unioni con i Romani, guidate dalla indomita Ersilia, si gettano fra le due schiere, sfidando dardi e frecce, e supplicando i contendenti piuttosto di rivolgere le armi contro di loro, causa della contesa.
Preferiscono morire, dicono, piuttosto che rimanere vedove oppure orfane.
Commossi da quello spettacolo inatteso, Romani e Sabini gettano le armi e i capi, seduta stante, stringono un patto di alleanza. Non nasce solo
una pace ma, dice Tito Livio, da due popoli ne scaturisce uno solo. La pace, nata miracolosamente da una guerra così sanguinosa, rende le donne
sabine ancora più care ai mariti e ai padri, e Romolo le ricompensa dando alcuni dei loro nomi alle trenta curie in cui suddivide il popolo romano.

Possiamo quindi certamente concludere che Romolo fondò Roma, ma la città fu salvata nella sua esistenza e consolidata nel suo sviluppo dalle
donne sabine e dalla loro azione coraggiosa, donne sabine che trovarono in Ersilia, la moglie del re, una guida indomita e saggia. Se Romolo fu il pater patriae, Ersilia ne fu sicuramente la mater.

 

Paola Marconi

DISCURSO DE FIN DE AÑO DEL PRESIDENTE DE LA ASOCIACIÓN TRADICIONAL PIETAS GIUSEPPE BARBERA 31 DE DICIEMBRE DE 2020 A LAS 11:15 PM

https://www.facebook.com/AssociazioneTradizionalePietas/videos/132672535242196/?app=fbl

Buenas noches a todos los amigos, socios y miembros de la Asociación Tradicional Pietas.
Gracias por estar presentes y por seguir, como siempre, este momento que desde hace tiempo
nos une en este día y que es el del discurso de fin de año; como sucede habitualmente, es el cierre de
un ciclo e inicio de uno nuevo.
Como costumbre desde hace algunos años, a petición de varios miembros de la Asociación,
realizamos esta reunión. Este año incluso decidimos proyectarlo directamente en vivo, para que todos
nos sintamos cerca, a pesar de las distancias, incluido las que nos imponen los decretos vigentes;
estamos cerca con los corazónes en cualquier momento, todos los días; y este año estamos cerca unos
a otros además gracias a los medios electrónicos.
Fue un año muy importante para Pietas, un año en el que se realizaron varias actividades.
Desafortunadamente, la repentina llegada del virus COVID-19, ciertamente nos frenó, pero a pesar
de esto logramos seguir adelante y entretenernos.
El 21 de abril hemos celebrado a la Navidad de Roma, no sólo con actividades rituales, sino
también con la habitual conferencia y con motivo de la conmemoración de la fundación de nuestra
querida URBE, pudimos realizar una conferencia internacional directamente en línea. Utilizo el
término “internacional” porque hemos tenido muchos miembros que nos han seguido desde el
extranjero, además de oradores que han participado desde el extranjero y que tejen con nosotros
relaciones duraderas y continuas.
Sin duda alguna, el año 2773 a.C. se abrió en enero con un evento verdaderamente profundo
e importante, ya que con nuestros hermanos griegos de Thyrsos, hermanos gentiles helénicos, que
como nosotros siguen el culto de los dioses antiguos, nos reunimos en Rimini y cumplimos el deseo
de nuestro viejo amigo que fue Vlassis Rassias, fundador de los grupos helénicos que existen
actualmente, cuyo deseo era visitar la tumba de Giorgio Gemisto Pletone y realizar en ella honores
sagrados al alma y al espíritu de este hombre que para nosotros es un DIVUS, es decir, una persona
que se ha realizado a sí misma; y como manda la tradición romana los buenos que mueren son
considerados Dioses. Giorgio Gemisto Pletone en el Renacimiento fue un personaje importante, una
persona que incluso logró involucrar a franjas eclesiásticas lideradas por cardenales, personas de una
profundidad muy importante en la reconstrucción de la tradición gentil. Luego presionó por un
Renacimiento de una tradición gentil, argumentando que la sociedad del futuro regresaría
inevitablemente al culto de los dioses.
En nuestra opinión, sus predicciones son acertadas y no es casualidad que también hayamos involucrado a Riccardo Campa, profesor de sociología en Cracovia, que estudia la sociedad del futuro y también afirma que el proceso de retorno al culto de los dioses ya se ha comenzado.
El encuentro con nuestros hermanos griegos en Rimini fue hermoso y muy profundo. Éramos numerosos y fue una oportunidad de ritual, encuentro y contacto con esta figura fundamental del Renacimiento italiano, que es el punto de partida tanto para ellos como para nosotros. El rasgo de unión en la era moderna entre la religión griega y la romana es el propio Giorgio Gemisto Pletone, un neoplatónico con visiones excepcionales y del que invito a todos a conocer más.
Después hemos comenzado a realizar eventos, reuniones y luego se hizo la presentación de la revista Pietas, “L’orfismo nei Nebrodi1” un número fundamental, porque ahí es donde hemos empezados a mapear todos los ritos tradicionales antiguos sobrevivientes en Italia a nivel local en las diferentes regiones. La implicación y participación de Pietas con estos ritos en las comunidades locales empieza una toma de conciencia fundamental para volver a la tradición gentil en la época moderna. Este fue un evento muy exitoso y sin duda es un gran trabajo el que está realizando la Asociación Tradicional Pietas para verificar, analizar, reducir y finalmente mapear lo que ha sobrevivido desde el mundo antiguo en todo el territorio nacional de hoy para demostrar que nuestra tradición no es una tradición muerta, sino una tradición viva.
Así que, incluso este 2020 de la e.v. ha sido un año generoso con nosotros; lamentablemente no podemos decir lo mismo por los demás, por la humanidad que está sufriendo esta terrible pandemia poniendo de rodillas a la moral, a la ética, a las relaciones sociales y humanas.
Y aquí surge la necesidad de llegar a un punto fundamental que es el regreso a la religión de los padres; y por ello a pesar de las dificultades que nos ha dado el avance de esta maligna enfermedad, hemos logrado fundar nuevos templos; hemos terminado un pequeño templo dedicado al dios Marte, hemos dedicado un pequeño templo a la Ninfa Egeria, ninfa de la salud, que en este momento particular todos nosotros gentiles rezamos y veneramos para que nos ayude a superar esta enfermedad y, hasta hoy, nadie en nuestra comunidad ha sido derrotado por ella, sino por el contrario, cuando ha sido afectado, la ha superado con gran éxito y ha vuelto a la normalidad.
Además de la Ninfa Egeria también tuvimos un evento muy importante, la construcción del templo de Apolo en Sicilia. Sicilia es una tierra muy rica culturalmente; es una tierra mágica, su forma triangular no es casual, la presencia del Etna y de la isla de Vulcano son un índice de energías subterráneas que salen manifiestas al mundo.
1 (N.d.T.) Las montañas Nebrodi (del griego νεβρός – nebrós, “ciervo”), o Caronie, son una cadena montañosa del norte de Sicilia, en el territorio de la ciudad metropolitana de Messina, que, junto con Madonie al oeste y Peloritani al este, forman parte de los Apeninos sicilianos.
En nuestra opinión, la isla de Sicilia es un punto crucial y fundamental para el Mediterráneo; aquí está el templo dedicado al dios Apolo que ha llamado la atención de todo el mundo, por lo que hemos recibido elogios de muchos grupos que nos siguen y ha permitido un crecimiento en el número de personas que siguen la Asociación Tradicional Pietas; hemos logrado un crecimiento de nuestras comunidades locales en Sicilia, que continúan desarrollándose y que pronto tendrán templos adicionales, uno por cada ciudad donde estas comunidades están presentes.
Frente al nacimiento y a la erección de templos, frente al retorno al culto antiguo, frente al aumento de los adeptos de la tradición romana, frente al aumento del número de miembros de la Asociación Tradicional Pietas, frente al establecimiento de vínculos cada vez más estrechos con grupos extranjeros que se ocupan de la tradición gentil, ante todo esto, por lo tanto, decidimos llevar a cabo lo que ya era un proyecto antiguo, es decir, la base de una entidad jurídica institucionalmente válida para relacionar nuestra comunidad con las instituciones.
Y por eso fue fundada la Institución religiosa “Pietas – Comunità Gentile”.
Hoy, finalmente, la comunidad gentil está reunida alrededor de una bandera, de un ideal y es muy cohesionada y unida. Generalmente es fácil que haya resistencia entre la decisión de una junta y una gran asamblea de asociados; nuestro, en cambio, fue un caso excepcional: una vez que el Pontífice de la Institución fue nombrado por la misma junta, convocó a la comunidad, la cual expresó a través de cada miembro presente en la reunión telemática, la plena aprobación de lo que fue la elección de la junta.
Entonces la comunidad nace muy bien, nace sólida, cohesionada, nace con referentes reconocidos unánimemente. Esta es nuestra fuerza, la unión, la amistad, la sinceridad que nos une en nuestras relaciones humanas. Elementos que generan la envidia de muchos, pero en definitiva, la envidia es una fiera fea y quienes la cultivan no hacen más que destruirse a sí mismos.
Para nosotros, sin embargo, fue un año de éxito merecido, fue un año en el que yo mismo fui profundamente admirado por la participación de todos los miembros de la comunidad y, por lo tanto, estoy encantado de encontrarme representando a este grupo de personas verdaderamente grande. A la fecha de hoy hemos llegado a 320 miembros, tenemos más de 5700 personas que nos siguen constantemente en nuestros canales telemáticos (en web, facebook y en otros), con excelentes resultados; estoy muy orgulloso de esto, estoy orgulloso de todos ustedes, estoy satisfecho con el gran trabajo que está haciendo y llevando a cabo la Asociación Tradicional Pietas.
Ciertamente hay mucho por hacer porque la comunidad se está expandiendo de manera acelerada, pero confío en la participación de todos sus miembros; ya he visto cuántos están trabajando en los distintos grupos operativos que estamos construyendo dentro de la Asociación y seguiremos
construyendo en los próximos meses, así que creo que el año que viene será un año de más satisfacciones.
Estamos superando un año crítico para toda la humanidad, lo estamos superando bien como Asociación, porque estamos haciendo todo lo que está a nuestro alcance, dentro de nuestros límites, para poder traer consuelo, ayudar a las personas a tener la fuerza interior para superar el mal, donde la verdadera dicotomía entre el bien y el mal en este momento, debe identificarse precisamente entre enfermedad y salud.
Continuaremos nuestro camino, mañana se llevará a cabo el rito en el templo de Júpiter, dedicado al dios Janus para la apertura del nuevo año y el Pontífice de la comunidad, transmitirá su mensaje a todos aquellos que hoy siguen la tradición gentil bajo la guía espiritual y las indicaciones que Pietas le está dando.
Agradecemos a todos por la confianza que depositan en nosotros; igualmente agradecemos a todos por su apoyo y estamos felices de ser parte de una comunidad donde todos trabajamos juntos para seguir adelante: los resultados han sido sobresalientes.
Estamos creciendo y los resultados futuros serán superiores.
Feliz fin de año y feliz año nuevo a todos.
Gracias por estar aquí también esta noche
Ad majora semper.

YEAR-END SPEECH OF THE PIETAS’ PRESIDENT GIUSEPPE BARBERA DECEMBER 31, 2020 AT 11:15pm

Good evening to all, friends, partners and members of the Traditional Pietas Association.
Thank you for being present and for following, as always, this moment that unites us on the last day of the year, which is the day of the closing speech; the closing of a cycle and the opening of a new cycle, as regularly happens. As has been the case for some years now, it is customary, at the request of several members of the association, to hold this meeting. This year we have even decided to project it directly live, so that we can all feel close to each other, despite the distance imposed by the current decrees, but in any case we are close in our hearts and this we always know at all times and on all days, but this year we are close helping each other with the telematic means.
It was a very important year for Pietas, a year in which several activities took place. Unfortunately the sudden arrival of COVID, certainly, slowed down, but despite this we managed to go on, despite this we managed to entertain ourselves, for example on April 21 we celebrated the Birth of Rome, not only with the ritual activities, but also with the usual conference, for the occasion of the commemoration of the birthday of our beloved URBE, we managed to hold a conference of international mold directly online. I say international because we have had many members who have followed us from abroad, we have had speakers who have participated from abroad and who weave with us lasting and continuous relationships.
Without a shadow of a doubt the year 2773 a.v.c. opened in January with a truly profound and important event, since with our Greek brothers of Thyrsos, who like us follow the cult of the ancient gods, we met in Rimini and fulfilled the wish of an old friend of ours, Vlassis Rassias, founder of the present Hellenic groups, and whose wish was to visit the tomb of Giorgio Gemistos Plethon and to carry out at it the honors sacred to the soul and the spirit of this man who for us is a DIVUS, that is a fulfilled person; and as per Roman tradition, the good people who pass away are considered Divi.
Plethon in the Renaissance was an important character, a person who even managed to involve the ecclesiastical groups led by cardinals, by people of substance, he managed to involve them in the reconstruction of the gentile tradition. So he pushed for a rebirth of a gentility, a rebirth of tradition, arguing that the society of the future would return to the cult of the gods. His predictions, in our opinion, are very accurate and it is not by chance that we have also involved Riccardo Campa, professor of sociology in Cracow, who studies the society of the future and who also maintains that the process of return to the cult of the gods has already begun.
The meeting with our Greek brothers in Rimini was beautiful, very profound, we were numerous, we had this occasion of ritual, of meeting and contact with this fundamental figure of the Italian Renaissance, which is the starting point for them as much as for us. So the point of union in the modern era between the Greek religion and the Roman religion is precisely him, Plethon, a neo-Platonist of exceptional visions, and whom I invite everyone to deepen.
Subsequently, we immediately began to do events, meetings and then there was the presentation of the magazine Pietas, “Orphism in the Nebrodi”, a fundamental research, because we have begun to map all the ancient traditional rites survived in Italy at the local level in different regions and the involvement and participation of Pietas with these rites with the communities clearly starts a fundamental awareness for a return to a gentility in the modern era. This was a very successful event and certainly it is a great work that the ATP is doing to verify, analyze, reduce and then in the end map what has survived from the ancient world looking at today throughout the country to show that our tradition is not a dead tradition, but it is a living one.
So even in that the year 2020 has been a generous year with us, unfortunately we cannot say the same for the rest of humanity who is suffering this terrible pandemic, which is bringing morals, ethics, social relations and human relations to their knees.
And here comes the need to make the end of the line to a fundamental point that is the return of the religion of the fathers; and so despite the difficulties given by the advance of this evil disease, we have managed to found new Temples; we have concluded a small temple dedicated to the god Mars, we have dedicated a small temple to the Nymph Egeria, nymph of health, that in this particular moment all of us kindly pray and venerate so that it may help us in overcoming the disease; to date, in our community, no one has been defeated by the disease, but rather whoever has been touched by it, has overcome the disease with great success, returning to normal life.
In addition to the Nymph Egeria we also had a very important event, the construction of the temple of Apollo in Sicily. Sicily is a culturally rich land; it is a magical land, its triangular shape is not accidental, the presence of Etna and the island of Vulcano symbolize underground energies that come out manifesting to the world. The island of Sicily is in our opinion a crucial and fundamental point for the Mediterranean; there, there is the temple dedicated to the god Apollo that has attracted attentions from all over the world, we have received compliments from many groups that follow us; we have received an increase of people that follow the Association Pietas, we have obtained a growth of our local communities in Sicily, which are continuing to develop and will soon have more temples, one for each city where these communities are present.
So, in view of the birth and erection of temples, of the return of the ancient cult, of the increase of followers of the Roman tradition, of the increase in the number of members of the Pietas association, of the establishment of ever closer foreign groups that deal with the Gentile tradition, considering all of this, we decided to bring to fruition all that was already a past project, namely, the foundation of a legal entity, institutionally valid, to be able to relate our community with the institutions. And so the Religious Body “Pietas Gentile Community” was founded.
Today, finally, the gentile community is gathered around a flag, is gathered around an ideal and is very cohesive and very united. Generally it happens that between the decision of a board of directors and a large assembly of members one encounters some resistance. Ours was an exceptional case, the Pontifex was appointed both by the “board of directors” of the entity itself, and by the community, which expressed its will through those members who were present in the telematic meeting of the community. So the community founded is very solid, cohesive, it was born with unanimously recognized points of reference. This is our strength, the union, the friendship, the sincerity that binds us in our human relationships. Elements that generate the envy of many, but in short, envy is an ugly beast and whoever cultivates it does nothing but destroy himself.
For us, on the other hand, this has been a year of well-deserved successes, a year in which I myself have felt profound admiration for the involvment shown by every member of the community and so I am delighted to find myself representing this truly large group of people. To date we have reached 320 members, over 5700 people who follow us constantly on our online channels (on the web, on facebook and elsewhere), so the community is walking well, I am extremely proud, I am proud of all of you, I am satisfied with the great work the Pietas Association is doing and carrying on.
Certainly there is a lot to do because the community is expanding at an accelerated pace, but I trust in the participation of all its members; I have already seen how many are working in the various operational groups that we are creating within the association and will continue to do so in the coming months, so I think that next year will be a year of further satisfaction. We are overcoming a critical year for the whole of humanity, we are overcoming it as an association, because we are doing everything in our power, within our limits, to be able, in short, to bring comfort and to help people to find the inner strength to overcome evil, where the real dichotomy between good and evil, at this time, must be identified precisely between disease and health.
We will continue our journey, tomorrow the rite at the temple of Jupiter will be held, dedicated to the god Janus for the opening of the new year and the Pontifex of the community will transmit his message to all those who follow today the gentle tradition under the spiritual guidance and directions that Pietas is giving him.
We thank everyone for the trust you are granting into us; we thank everyone for the support and we are happy to be part of a community where we all work together to move forward, the results have been outstanding. We are growing and they will be greater.Happy end of the Year and Happy New to year to all of you
Thanks for being here
Ad majora semper.

Angerona and Iuppiter


Few know it, but the Goddess Angerona is closely connected with the Jupiter Child, the same venerated in Anxur (volsco name of Terracina).
In ancient Rome, during the Divalia of December 21, solar rites for the solstice took place at the same time as the saturnal celebrations and the mysteries of Angerona were applied, which connect silence to the predestined birth of the Sun; In Terracina celebrated as a Iuppiter child (Iuppiter Anxur). The connection between Angerona and Venus Libitina is also fundamental (it is in the temple of this goddess that the shrine dedicated to the lady of Silence was kept). In turn, even Libitina is connected to the death of the Sun (December 21) and to the awareness of its certain rebirth (December 25 dies natalis Solis Invicti). In all this, the presence of a shrine dedicated to Venus at the temple of Jupiter Anxur has thrown into crisis archaeologists who begin to launch various hypotheses which, lacking the knowledge of Tradition, distance them from understanding the real connection between Venus and Jupiter as a child.
The same mysteries, once reconquered, Pietas kept and celebrated in the Sanctuarium Pietatis (where the temple of Jupiter was erected) faithfully adhering to the sources and ancient logics.

Reddito di cittadinanza: un progresso antico!

Si ringrazia la testata di Ereticamente.net per la condivisione

Il polverone che sta alzando l’idea del reddito di cittadinanza è enorme. I poteri forti, secolari e millennari, si scagliano contro questo atto del governo giallo-verde come se fosse un’azione terribile e deplorevole.  La paura di fondo, manifestata pubblicamente, è che ciò accresca l’oziosità, l’evasione fiscale e le truffe contro il tesoro dello stato. Nella realtà dei fatti il reddito di cittadinanza non è un’idea nuova, ma appartiene ad un mondo antico: quello Romano! Cosa altrettanto curiosa è che non si tratta di un concetto maturatosi nel tempo, ma emerso in contemporanea alla fondazione di Roma. Plutarco, nella vita di Romolo, ci segnala che dopo la vittoria contro i Veientini, il primo Re di Roma non volle tenere schiavi, ma restituì i prigionieri di guerra agli avversari ed entrò in conflitto con i Patrizi fondatori perché evitò l’eccesso di crescita delle loro ricchezze rifiutando di distribuire loro nuove terre (oltre, appunto, a non fornirgli manodopera gratuita in forma di schiavi), bensì volle che ad ogni cittadino romano (i quali erano tutti impegnati a partecipare alle attività belliche) venissero equamente distribuite le terre conquistate. In ciò vi è un ideale sociale molto alto che vuole emancipare l’uomo dal dipendere dai ricchi dell’epoca.

A parere di alcuni storici Romolo (1) sarebbe stato eliminato fisicamente da una congiura di individui aspiranti all’accumulazione di ricchezze, e poiché egli era profondamente amato dal popolo, al punto tale che lo riteneva figlio di un Dio, venne sparsa la voce che fu visto ascendere in cielo: da ciò si sviluppò un’apoteosi di Romolo, assunto al rango di divinità col nome di Quirino, che evitò di ricercare il corpo del Re ed eventuali responsabili di un suo possibile omicidio. Nonostante ciò la politica romulea era oramai stata avviata nella città da lui fondata. Questo ideale sociale supererà i confini romani per divenire, due secoli e mezzo dopo, una ideologia comune al mondo italico: la causa di ciò sta nello sviluppo parallelo, nella pitagorica Magna Grecia, dell’intento della cancellazione della povertà tramite la distribuzione di terre (percepite come bene reale appartenente alla natura umana a differenza del denaro che invece la difetta) con la conquista di Sibari nel 510 a.e.v. da parte dei Crotoniati, guidati da Pitagora, il quale propose di distribuire le ampie campagne della città sconfitta alle classi sociali più povere. Anche qui si accese l’opposizione di una parte avida dell’aristocrazia, la quale organizzò una rivolta sanguinolenta nella figura di Cilone, che si concluse con la cacciata dei pitagorici e di un nulla di fatto per i meno abbienti. La cosa ebbe conseguenze pesanti per tutto il sud Italia perché Kroton era la polis di riferimento per le poleis Magnogreche. A riprese i Pitagorici riconquistarono il controllo della città, ma qui gli scontri sociali erano talmente intesi, tra le diverse fazioni, che si dovette fare di Taranto la novella polis a guida della “Lega Italiota”.

Osservando il fenomeno di nascita della prima Italia, risalta la presenza di un filo conduttore che ideologicamente vuole i cittadini liberi da ogni forma di servitù tramite un reddito pro capite che provenga dalla terra concessagli dallo stato. Il fenomeno è oltretutto meritocratico e spinge l’uomo allo sviluppo del concetto comunitario perché arriva alla conquista della sua “indipendenza economica” tramite la disponibilità d’impegno data alla comunità, vuoi servendo nell’esercito od in altre strutture statali. A questa linea ideologica si oppongono gruppi di latifondisti che ambiscono al controllo dello stato e delle ricchezze da esso reperibili.  Quando Roma arriva allo scontro con Taranto, nel 280a.e.v., ci si rende conto di come la Magna Grecia sia animata dalle medesime aspirazioni civili e sociali dei Romani, motivo per il quale questi ultimi elaborarono una leggenda che voleva Re Numa discepolo di Pitagora (cosa impossibile perché i due sono vissuti a circa due secoli di distanza), un motivo di propaganda che risultò credibile a causa delle medesime ideologie attive tra italioti e romani (2). La politica della libertà attraverso il possesso o reddito terriero si vide contrapposta all’ottica delle società fondate sul commercio, come quella punica, dove la ricchezza fondamentale non era la terra bensì il denaro. Gli scontri con la plutocrazia cartaginese si conclusero con la distruzione di Cartagine del 146 a.e.v.

Dopo tale evento le tensioni sociali italiche si accentuarono: i Gracchi proposero, per l’ennesima volta, la distribuzione di terre ai meno abbienti: con la crescita del dominio romano aumentavano i cittadini e le necessità ad essi connesse. I nobili intenti di questa famiglia romana trovarono la contrapposizione dei soliti “poteri forti” che, questa volta, li eliminarono spietatamente in pubblico. Dei terreni di Cartagine non si fece più nulla, ed una enorme ricchezza pubblica restava lì, bloccata ed improduttiva. Nel giro di mezzo secolo i contrasti sociali giunsero ad una terribile guerra dove le città italiane si allearono contro i poteri forti di Roma per vedersi riconosciuta la cittadinanza e poter prendere parte alle votazioni inerenti la gestione delle nuove terre: fu la guerra sociale. Silla ufficialmente vinse, ma dovette concedere la cittadinanza romana ai “socii” (alleati) italici, i quali, con ciò, furono i veri vincitori. L’identità italiana raggiunse finalmente la realizzazione del suo ideale sociale sotto Cesare: questi nel 59 a.e.v. concretizzò la riforma agraria, facendo ottenere ad ogni cittadino la quantità di terreno necessario all’indipendenza della propria famiglia.

Col tempo Roma si trasformò in un impero sempre più strutturato nella realtà statale, da ciò ne conseguirono la crescita di città sempre più grandi con forte intensità demografica: si sviluppò allora una nuova forma di reddito, dapprima consistente nella distribuzione di alimenti (farina, olio, vino) alle classi meno abbienti, fino alla distribuzione di somme di denaro da Augusto in poi: si tratta del congiarium pro capite, ovvero una somma di denaro minima considerata utile ad avere uno stile di vita dignitoso, che veniva distribuita alle classi meno abbienti per cancellare la povertà. La Res Publica dei romani fu la più longeva, nella storia dell’umanità, perché si fondava su un ideale sociale che voleva la cancellazione della povertà. Persino la schiavitù a Roma ebbe diritti che altrove non esistevano: lo schiavo romano riceveva un reddito che poteva essere fittizio (un credito segnato) o reale (in monete), grazie al quale poteva comprarsi la libertà una volta raggiunta la cifra dovuta. Certo Roma ha avuto molti elementi contrastanti, ma dall’antica italicità si possono trarre valori molti sani ed in alcuni casi risolutivi per problematiche attuali che i nostri antenati già affrontarono.

Nella società odierna non sono più i valori ad essere il centro della società, ma il denaro, ciò ha fatto sì che una riforma di diritto, come quella attuata dal governo di Lega e Cinque Stelle, è mal vista, quasi si subisse un furto, mentre a Roma il denaro non era concepito come obiettivo di vita ma come strumento per una vita dignitosa. Le nostre nazioni divengono moderne nel momento in cui si rifanno alla politica romana: lo stesso concetto di repubblica nasce nell’antica Roma e viene ripreso dall’illuminismo in poi. Il corpo dei diritti civici nasce a Roma e da Roma lo riprendiamo. Recuperare il concetto di “reddito sociale”, concepire lo stato come struttura agente super partes per la risoluzione delle differenze sociali, ciò è profondamente moderno, poiché la modernità trae origine dalla romanità: la repubblica francese, ricca di aquile e altri simboli romani, ricca di titoli ed istituzioni riprese dalla Roma antica ne è la dimostrazione concreta e reale. Questo processo di ripresa e sviluppo non è ancora terminato perché molte, delle istituzioni positive romane, sono da riprendere e svilupparsi, ed il nostro governo attuale sta affrontando una riforma moderna che appartiene alla storia del nostro paese, dove per secoli città e fazioni hanno lottato per poter vedere il loro ideale realizzarsi a discapito dei prepotenti e degli avidi.

Note:
1 – Sulla reale esistenza di un primo re di Roma l’archeologia ha fugato ogni dubbio. A tal riguardo si vedano le ricerche condotte dall’archeologo Andrea Carandini sul Palatino. Un primo re v’è stato, ha fondato la città ed ha eretto una cinta muraria sul Palatino. Certamente vi sono elementi mitistorici e propagandistici elaborati dalla storiografia romana, ma il fatto che si attribuiscano determinate riforme al primo re significa che per i romani, ideologicamente, esse erano importanti e che erano intenzionati a promuoverle;

2 – Vedansi gli atti del convegno “Il pitagorismo in Italia ieri e oggi”, Università La Sapienza di Roma, 2005.

Giuseppe Barbera, archeologo e presidente Pietas.