“Qualcuno” sostiene che “il Mundus Patet non sia giornata adatta ad un incontro culturale, perchè per i Romani in quel giorno non si dovesse fare nulla di rituale e importante”. Tale definizione è sbagliata, faziosa, perché nella realtà dei fatti l’apertura del Mundus è un gesto rituale, ed a quella apertura si compiono offerte di primizie, riti che lo stesso Romolo inaugurò. Quindi certi riti si fanno, anzi è obbligatorio compierli! Semmai nei giorni di Mundus era cosa buona evitare di dedicarsi a determinate opere per dare a quella giornata il giusto valore. Un po’ viene a mente il detto popolare “di Venere e di Marte né si sposa, né si parte né s’inizia l’arte”, difatti le proibizioni vigenti consistevano nel non attacar battaglia, non fare leva, non si convocava il popolo a votare, non si operava nella pubblica amministrazione (gli uffici restavano chiusi), non si salpava e né si contraeva matrimonio (Macr. Sat. 1, 16, 16). Il divieto a compiere atti pubblici in quei giorni era perchè i romani riflettessero sull’importanza misterica di tale festa. L’esecuzione di adeguai riti della giornata (apertura del mundus, formule ed offerte, relativa chiusura rituale ad un determinato orario) era un obbligo per i sacerdoti e magistrati adibiti ai compiti, talmente importanti che il resto delle attività cultuali restavano ferme per evitare che questi riti “occulti” venissero tralasciati. In questa giornata i sacerdoti compivano riti per aprire la “connessione” tra i “mondi”. Essendo il dies mundi Cereris era doveroso, da parte dei gentili, compiere determinati riti. Chi non conosce codesti riti non deve neppure provare ad emulare, o imitare o parodiare, perché essi sono di tale potenza che porterebbero sciagura a chi s’approcciasse a farli inconsciamente. Nella pratica romana è infatti fondamentale la “coscienza” di ciò che si compie ritualmente. Mai operi chi è nel dubbio, altrimenti la sua arroganza e presunzione, nei confronti del rito, saranno la sua rovina. Per realizzare un mundus e compiere i “dovuti” gesti rituali, bisogna avere a fondo intuito il significato misterico del rito ed averlo ricevuto legittimamente. L’incontrarsi, dopo 2000 anni, in un giorno di Mundus e compiere una conferenza sulla Romanità è una cosa corretta, perchè essa non è un’attività lavorativa ma un gesto che è finalizzato ad aprire quella fossa di contatto con un mondo occulto. Questo occulto mondo misterico della Tradizione, nel giusto tempo calendariale, deve tornare a congiungersi col mondo dei vivi praticanti. La conferenza dell’8 novembre 2014 e.v. è stato un gesto analogico al rito del Mundus Patet, giorno in cui “tutti i mondi” entrano in contatto, dunque giornata adattissima allo studio piuttosto che al far leva, o atti d’ufficio, o matrimoni, o guerre o riti pubblici. Ci si è mossi nel pieno rispetto dei precetti patrii: quell’8 novembre 2767 diversi gruppi di Tradizione si sono incontrati pacificamente senza sigillare il ben che minimo accordo, senza farsi o dichiararsi guerra, ma semplicemente ogni relatore ha esposto le sue idee sul “contatto” tra dimensione umana e dimensioni divine. Nulla di più appropriato! Gli stessi organizzatori dell’evento (la redazione di ereticamente.net) non avevano ragionato su tutto ciò, hanno semplicemente agito e Pietas ha aderito volentieri ad un atto così profondo che solo i Numi potevano esserne stati ideatori, utilizzando, come al loro solito, gli uomini. Chi è rimasto a casa a leggere un libro sui miti, magari anche fumando un buon sigaro e sorseggiando un buon vino, è stato pio. Chi è venuto alla conferenza, per avere informazioni che lo aiutassero a riflettere sui misteri della romanità, è stato pio. Chi, in malafede, l’8 novembre 2014 avesse fatto un giro di telefonate per raccogliere accoliti alla detrazione di tale evento, avrebbe violato la prescrizione dei padri a “non far leva”. Chi, quell’8 novembre, avesse mosso parole polemiche per far guerra a qualsivoglia gruppo, avrebbe violato le norme dei padri.
Dunque chi sostiene che la prescrizione dei padri fosse di non far nulla, ma allo stesso tempo solleva polemiche, interpreta male e viola una chiarissima prescrizione pontificale espressa nella Kalendarium.
Chi non ha compreso il significato misterico del rito del Mundus non può riconoscere quali siano le azioni analogicamente più corrette in riferimento a quel rito; chi invece ha inteso l’importantissimo arcano, che si cela dietro il gesto di tale rito, bene comprende che solo i Numi della Tradizione Patria potevano ispirare gli uomini ad incontrarsi in un giorno di Mundus per favorire l’incontro di forze provenienti dai diversi mondi. E quest’azione di conciliazione ha mondato le impurità di ogni cattivo pensiero reciproco. Ed è proprio in un giorno di Mundus che tante cose, che erano dubbie ed occulte, son venute alla Luce. Ringraziamo tutti i relatori e gruppi che hanno preso parte all’evento. Per gli studiosi curiosi di conoscere quale “parte di sapere” sia venuta alla luce nel mundus dell’8 novembre MMDCCLXVII sono disponibili gli Atti del Convegno “Le Vie al Sacro della Tradizione Classica”. Per ordinarli scrivere a info@tradizioneromana.org
Tag: Tradizione Romana
Arcana Urbis
Riportiamo parte dell’intervento del presidente Barbera alla conferenza “Arcana Urbis”, tenutasi a Roma il 24 aprile 2769 ab V.C. (2016 e.v.)
De Superbia
di Elio Ermete
estratto da Pietas 1
Nel mondo latino la parola superbia indica il sentimento dell’orgoglio, distinto da quello della fierezza che si traduce decus: ingens suis decus attulit (è motivo d’orgoglio per la sua famiglia). Il termine inflatus denota invece un soggetto tronfio di se stesso, gonfiato dalla propria superbia, come se un demonio gli avesse soffiato in corpo il sentimento dell’orgoglio.
Nella cultura romana l’orgoglio in senso sano è la fierezza, vocabolo che preserva il tema dell’ambito selvatico, la selva, il disordine remio, difatti feritas significa anche selvatichezza, pertanto anche questo è considerato un sentimento negativo, tranne quando è generosus animus.
Nella tradizione classica i soggetti orgogliosi vengono puniti dal Padre degli dei od anche dai suoi figli se direttamente chiamati in causa; nel mito i soggetti orgogliosi non trovano mai la via della realizzazione.
Anchise, il padre di Enea, ottenne l’amore di Venere, ma egli si vantò di aver ottenuto tale dono divino, vanto finalizzato ad accrescere il suo orgoglio di fronte ai suoi simili, ma che gli costò la perdita della vista e dei favori della dea.
Achille è l’orgoglio assoluto di se stessi e mai riuscirà ad entrare nella città di Troia per espugnarla, ovvero il soggetto orgoglioso non riuscirà mai ad abbattere le costruzioni mentali che ha recepito e realizzato in sé, passo necessario (appunto rappresentato dalla guerra di Troia) per poter intraprendere il viaggio di ritorno alla patria d’origine dell’anima. Per quanto l’eroe figlio di Peleo ottenga riconoscimento ed onori dagli uomini, mai realizzerà il primo passo dell’opera alchemica[1]. Egli ebbe la scelta fin dall’inizio: o partire per i lidi orientali per veder soddisfatto il proprio orgoglio e morire o vivere in eterno nella sua dimora.
Agamennone per il suo forte orgoglio costruisce un altro sé, un elemento estraneo a lui stesso (Egisto) che s’impossessa della sua anima (rappresentata dalla moglie Clitennestra) e che poi lo uccide.
Niobe usò i suoi figli per soddisfare il suo orgoglio, vantandosi di averne generati più di Latona volle farsi credere superiore alla madre di Apollo e Diana, ma ciò le costò la vita.
Aracne era bravissima nell’arte della tessitura, che le fu insegnata dalla dea Atena, ma il suo orgoglio le fece credere di poter essere superiore ad una dea e sfidò la sua maestra in una gara di tessitura. Dopo averla sconfitta la Glaucopide dea trasformò la presuntuosa in ragno.
Il sileno Marsia[2], orgoglioso delle melodie che riusciva a suonare con il flauto di Minerva sfidò lo stesso Apollo ad eguagliarlo con la lira: il vinto sarebbe stato alla mercé del vincitore; sconfitto fu fatto scuoiare vivo dal dio solare.
L’orgoglio è una crescita alternativa e deviata del sé spirituale, che porta ai peggiori sentimenti che l’animo umano possa manifestare: pregiudizio, vanagloria, superbia, sopravvalutazione di se stessi fino alla propria distruzione, come il mito stesso testimonia.
La nascita di questo elemento avviene per una deviazione della rota solare causata da una sua disfunzione, difatti l’orgoglio è l’espressione dei valori solari capovolti.
Il soggetto solare è disponibile e silenzioso, tanto che il dies silentii è alla vigilia della nascita del Sole, sa ascoltare, valuta con equilibrio le ipotesi che gli vengono proposte e trova la giusta collocazione ad ogni pianeta perché possa ruotare, chi vicino, chi lontano, attorno di lui. L’uomo orgoglioso si considera superiore e si concede con difficoltà, parla per dare vanto a se stesso e non ascolta i giudizi degli altri ritenendo le persone in un gradino inferiore al suo, vuole forzare la funzione degli individui che gli stanno attorno, convinto di essere in grado di scegliere per loro, fino a perderli ed allontanarli da sé.
La larva dell’orgoglio è generata da una iperattività del plesso solare, per gli yogi sull’ombellico, e può nascere anche per una erronea alimentazione; coscienti di ciò i sacerdoti antichi eseguivano digiuni regolari scanditi dall’anno solare per mantenere il proprio metabolismo in armonia coll’astro celeste, evitando così di alimentarsi di sentimenti sbagliati ed infausti. Una volta generata suddetta larva pesante, dai Romani chiamata Lemure[3], essa si accresce intelligentemente agendo sulle funzioni spirituali dell’individuo: infatti alla spinta operativa del rito, che dovrebbe far ascendere gli elementi puri fino alla nascita della Minerva dal capo, s’insinua detto orgoglio sostituente i puri sentimenti animici, da ciò si avrà l’ascesa di un Marsia invece che di un Quirino.
Per far ascendere la forza animica ripulita dall’azione solare/spirituale che ha impresso della sua luce l’anima/luna necessita un’azione marziale, quando però questa spinta è sporcata si ha il Marsia, e seppure entrano in sintonia tutte e sette le note planetarie grazie all’azione dell’arte (questa rappresentata dal flauto di Minerva, nel quale si soffia), essendo sporca la matrice ascensionale (quella che gli Indù chiamano kundalini e noi Romani Iuno) invece di generarsi il fuoco interno delle rigenerazione si sentirà un bruciore sulla pelle simboleggiato nel mito dallo scuoiamento. Ma l’orgoglio stesso farà credere al praticante di essere nel giusto ed egli continuerà fino alla sua rovina poiché in realtà starà svolgendo l’azione di prevaricazione delle mura di Remo, gesto che garantisce la sua morte.
Il soggetto solare invece incarna l’azione romulea e non permette al Remo di prevaricare le mura entrando nel Palatium/corpo, compiendo un gesto di tutela della propria Urbs.
Il sentimento dell’orgoglio, essendo faunico e remio, è un impulso disordinato e caotico, manifestazione della crescita del Cacodaimon a discapito dell’Agatodaimon, è quindi un elemento distruttore. La volontà di imporsi sugli altri porta solamente al dissolvimento degli ambienti umani, così il Cacodaimon riempirà il cuore dell’orgoglioso di disprezzo per gli altri, non comprendendo l’uomo che egli è fautore del proprio destino e che le scelte fatali che sta affrontando lo porteranno ad un morboso attaccamento alla materia che sempre più lo allontanerà dalla dimensione della luce solare. Schiere di demonii risponderanno alle sue chiamate e crederà di essere potente e sulla giusta via, non comprendendo che per lui si staranno aprendo le porte di un abisso di materia scura, il guadagno di denaro e l’avanzamento di carriera non saranno in questo caso un prodotto gioviano, bensì il risultato della deviazione solare in ricchezza saturnia, solitudine che cresce quotidianamente perché in nessun rapporto umano troverà più la vera scintilla erotica, di Amor puro, che tiene uniti amici, familiari e i nostri amori
Il gentile che abbandona la gentilezza, o che usa questa ipocritamente, non comprenderà mai nessuno dei misteri luminosi e trascorrerà la sua vita in gioie effimere e noie preludio di un cammino di buio solitario.
Alcuni autori moderni considerano solare l’atteggiamento d’imposizione della propria volontà sugli altri, pensano che la dignitas consista nel comportarsi come esseri superiori sugli altri, ma queste sono vanaglorie, portatrici di squilibri solari, matrici di lemuri che se prendono il sopravvento sull’individuo lo condannano ad un lungo buio mentale, che lo porterà al fanatismo ed alla superstizione, lo stesso sentimento che ha spinto molti fanatici religiosi autori dei peggiori eccidi della storia, come il vescovo cristiano Teofilo, che spinse Teodosio a far vietare ogni culto pagano e che aizzò intere folle di fedeli contro i templi, così come il vescovo Cirillo ordinò ad un gruppo di uomini di uccidere Ippazia, la direttrice della Schola Pitagorica Alessandrina, i quali la attesero mentre rientrava nella sua dimora per prenderla, trascinarla alla chiesa di Cesario, strapparle le vesti, farla a pezzi con dei cocci e cavarle gli occhi mentre era ancora viva[4]. Quegli uomini che cercavano la luce non si resero conto che per il loro orgoglio, per il pregiudizio e per la presunzione uccisero l’ultimo astro luminoso di Alessandria; qualcosa che invece avrebbero amato se fossero stati gentili nell’animo. Sta all’uomo la scelta. O una vita romulea, costruttiva per se e per gli altri, o la distruzione remia. Il mito lo testimonia, ma la maledizione degli uomini è che essi dimenticano.
[1] S’intende qui il processo di trasmutazione della propria interiorità
[2] Vedremo più avanti perché Marsia è una manifestazione marziale silvestre, dunque faunica e deviata, accrescitrice dell’orgoglio.
[3] Per i Romani i lemuri erano le larve sprigionatesi da Remo, esse venivano credute, in alcuni casi, ereditate dai padri, ciò perché la comunione quotidiana in famiglia porta anche alla trasmissione dei sentimenti dal soggetto capo della catena domestica a tutti gli anelli componenti. Per tali motivi un capo famiglia deve essere sempre un esempio di rettitudine. Per il bene dei suoi stessi congiunti.
[4] Damascio cit. 76, 24-81.
ereticamente.net intervista il presidente Barbera
a cura di Luca Valentini per ERETICAMENTE.net
- Dott. Barbera la vostra Associazione è possibile collocarla nel quadro di diversi raggruppamenti del cosidetto “tradizionalismo romano”, ma sotto quali aspetti il vostro percorso si differenzia dagli altri?
L’Associazione Tradizionale Pietas è una realtà eterogenea composta prevalentemente da comunità connesse tra loro nell’interesse delle tradizioni greco-romane in Italia. L’approccio alla Tradizione avviene in maniera asettica, evitando forme di fanatismo o visioni faziose che possano alterare la reale comprensione della Tradizione in se stessa. La nostra entità è culturale e non religiosa poiché consideriamo, allo stesso modo degli antichi romani, la Pietas come un corpo di valori nel percorso della filosofia intesa come via di ricerca della sapienza a discapito dell’approccio religioso, reputata come una forma di misticismo che rallenta il cammino della comprensione.
Purtroppo non mi è possibile chiarire su cosa il nostro percorso si differenzi dagli altri perchè non conosco metodi e percorsi di altri gruppi di tradizione romana in Italia, mi è possibile definire con chiarezza l’organizzazione all’interno della nostra struttura: in Pietas ci si può accostare in diversi modi alla tradizione, cominciando dallo studio dei testi classici e sacri della nostra tradizione (Iliade, Odissea, Eneide, Georgiche, Bucoliche, Teogonia etc.) con un’ottica esoterica in senso socratico fino ad arrivare anche alla comprensione ed alla pratica del rito antico nell’ottica della pietas greco-romana.
- Si nota nei vostri scritti, nella vostra rivista una propensione particolare per il Pitagorismo, e ciò non crediamo sia solo motivato dall’essere la sua Associazione sorta a Crotone in Calabria. Può cortesemente sintetizzarsi quali connessioni vi sono tra la vostra visione del mondo ed il Pitagorismo?
La connessione tra pitagorismo e tradizione romana nasce nella prima Italia. Se è vero che Roma, affacciandosi sul Mediterraneo, coglie il testimone della civilizzazione alessandrina del mondo, già prima aveva ripreso l’intento pitagorico di creare un’Italia unita. L’esperienza della Lega Italiota fu la prima volontà d’unità della penisola e nacque proprio nell’ambito Crotoniate. Quando poi il nuovo centro del Pitagorismo divenne Taranto e ci fu la famosa guerra contro Roma del 270 a.C., l’Urbe eterna decise di abbracciare l’ideale pitagorico (riconoscendo in esso dei motivi ideologici già presenti a Roma) creando il mito del re Numa discepolo di Pitagora. Storicamente questo discepolato diretto è impossibile a causa della distanza cronologica tra le vite di Numa e Pitagora, ma chiaramente venne messo in atto un sistema di propaganda finalizzato ad unire la Magna Grecia (prevalentemente pitagorica) con la componente socio-politica e culturale romana, motivo per cui verrà posta la statua del filosofo samio all’ingresso della Curia Optimia. Dunque la nostra propensione per il pitagorismo si aggancia ad un motivo culturale che si espresse con grande forza nell’antica Roma: le stesse riforme dei Gracchi ricalcavano le idee di Pitagora in merito alla riorganizzazione dei terreni della distrutta Sibari, così i Gracchi volevano ripartire similmente i terreni della distrutta Cartagine; sia Pitagora che i Gracchi trovarono l’opposizione delle aristocrazie terriere.
- Un numero della rivista Pietas è stato dedicato alla figura altamente stimabile di suo padre, come fondatore dell’Associazione. Senza voler esser invadenti e scortesi, possiamo chiederle, a livello spirituale ed in sintesi, quale è il lascito più importante che Gianfranco Barbera ha consegnato alle nuove generazioni che a voi si avvicinano?
Onestà intellettuale, equanimità, impegno. L’onestà di riconoscere dove stiano i limiti e dove ricercare la grandezza della nostra tradizione; il dare il giusto valore alle cose ed alle persone abbattendo la faziosità e gli interessi del proprio ego; L’impegno, ossia la Pietas, l’impegno verso la famiglia, gli amici, la patria e gli dei. Oggi Crotone si presenta come città di Pitagora con i suoi cartelloni all’ingresso della città, con monumenti dedicati al grande filosofo, ma prima dell’avvento di Gianfranco Barbera a Crotone e del suo interesse alla politica cittadina l’unico monumento della città era uno scoglio messo al centro di una piazza in via Cutro, dal quale ogni tanto sgorgava un po’ d’acqua. Sessant’anni di socialismo reale avevano cancellato ogni traccia di memoria storica: Gianfranco Barbera attuò una vera rivoluzione culturale a Crotone, sensibilizzando chiunque, al di là delle posizioni politiche, alle antiche tradizioni crotoniate. Nonostante fosse un militante attivo di destra, la sinistra crotonese ebbe sempre grande stima della sua cultura e dei suoi valori, tanto da commissionargli dei quadri sulla fondazione dell’antica Kroton e sulla scuola pitagorica oggi nell’androne del palazzo della provincia in via Mario Nicoletta.
- Oltre al Pitagorimo, nella rivista, negli scritti di suo padre e suoi abbiamo notato un continuo riferimento all’esperienza magica del Gruppo di Ur, non solo verso la componente pitagorica (Reghini –Parise), ma anche gli insegnamenti ermetici (Quadrelli) e antroposofici (Colazza – Scaligero). Che legame certi insegnamenti possono avere con una via di cultualità gentilizia italico-romana?
Nel suo percorso Gianfranco Barbera cercò, sin da giovane, la via della Tradizione. Allo stesso modo di Ulisse viaggiò per i mari ed approdò a diversi lidi fin quando non giunse a quello tanto agognato della via Romana. Si è sempre definito un gentile e nonostante le sue posizioni dichiarate molti uomini di chiesa avevano grande stima della sua figura tanto da commissionargli restauri di quadri antichi di culto cristiano. In ciò egli fu l’incarnazione della tolleranza e del dialogo: se non avesse mai studiato i vangeli e la bibbia e grandi teologi come Kircher, D’Aquino e D’Agostino non avrebbe mai potuto, per mezzo delle comparazioni, far comprendere ai sacerdoti cristiani i motivi delle sue posizioni, dagli altri sempre rispettate ed apprezzate. Egli, in pieno spirito romano, studiava anche le tradizioni degli altri per trovare punti di sincretismo e di comuni origini: del resto la stessa cosa la fecero i Romani con i Greci e con i diversi popoli assoggettati. Ma nonostante ciò più andava avanti negli anni e più ricercava la tradizione prisca della Roma arcaica abbandonando le fasi di quei grandini più in giù, della piramide spirituale dell’umanità, dai quali passiamo tutti quanti ma solo in pochi poi si ascende a quelli più stretti.
- In Italia, suolo di Roma Eterna, da Romolo a Pomponio Leto vige un sospettoso silenzio, dalla scuola ai media, sui temi della Cultura Classica. Crede ciò sia dovuto solo all’antagonismo egemonico e secolare della Chiesa o intravede altri e più subdoli Avversari?
Certamente esiste un intento di origine occulta finalizzato a sconnettere gli uomini d’Italia dai loro geni originali, probabilmente il nostro potenziale è tale da far si che altri temano un nostro predominio in caso di risveglio collettivo delle coscienze, così da tenerci distanti dalle nostre tradizioni patrie per poterci gestire e controllare al meglio. Un albero senza radici può essere sradicato subito. Ma per quanto possano cancellare l’informazione sulle nostre origini, nel genoma italico risuona e ribolle il legame coi geni ed i numi dei nostri antenati, pertanto l’invincibilità della Tradizione sta nella sua capacità di sopravvivenza nonostante l’occupazione culturale dello straniero.
- In merito alle evidenti condizioni di decadenza non solo del mondo moderno, ma anche di tutto un mondo del tradizionalismo che spesso sfocia quasi nella parodia del Sacro, che non in un suo sperato recupero, voi intendete porvi come argine oppure giudicate non esserci i presupposti per un’analisi negativa, così come da noi sintetizzata?
Esiste non solo in Italia, ma in tutta Europa, un risveglio verso la Tradizione. Un sentire che tende a fuoriuscire dalle catene materiali e morali imposte dalle religioni moderne che hanno cancellato l’antico sistema di diffusione della Sophia, ossia della sapienza. Nel mondo antico l’approccio al rito era differente. Se oggi già da giovani s’impone la presenza ad adunanze collettive, chiamate messe, finalizzate alla circonvenzione culturale degli uomini che da potenziali eroi invece devono comportarsi come pecore al servizio del pastore che da loro trarrà il suo profitto ed il suo guadagno, nel mondo antico l’accesso al tempio era riservato solamente ai meritevoli. Il paradigma cristiano “beati i mendicanti di spirito” è stato cangiato in “beati i poveri di spirito”, forse per un’errata traduzione o forse con un voluto intento di cancellazione della meritocrazia ed appiattimento spirituale della popolazione al fine di controllarla e gestirla al meglio. Guardando oggi un tempio romano notiamo, generalmente, un particolare importante: all’interno del tempio era posta l’ara, un altare verticale che simboleggiava l’aspirazione verso l’alto del praticante che entrava nel Naos. All’esterno l’altare era un parallelepipedo posto sulla scalinata che sviluppava la sua lunghezza in orizzontale: qui avvenivano i sacrifici per la collettività, il sacerdote coadiuvato da alcuni assistenti saliva alcuni gradini e sacrificava gli animali simbolo delle cose che vanno lasciate fuori dal tempio per potervi ascendere. Il sacrificio massimo era il Suovetaurilia, ossia un maiale, una pecora, un toro; i bassi istinti della riproduzione e della gola erano rappresentati dal maiale, l’ignavia dalla pecora, l’arroganza e la prepotenza dal toro. Questo altare era orizzontale perchè voleva proiettare il suo intento verso l’orizzontalità della materialità e del popolo profano. Durante il rito erano i sacerdoti e gli iniziati che pronunciavano le formule sacre, non vi era la partecipazione di tutti nel cantare inni o altro: il popolo assisteva, non partecipava attivamente, ma ricettivo frequentava il tempio per assumere la luce sapienziale dei suoi sacerdoti. Quelli che comprendevano il motivo dei gesti e delle azioni rituali, quelli che capivano perchè in processione venissero portati simboli particolari come calici e crateri, o rose o quanto altro scegliessero i sacerdoti, quelli venivano addentrati alla sapienza del tempio; significativo l’esempio di Apuleio nell’asino d’oro: egli partecipa alla processione isiaca, comprende il motivo della rosa in processione e la mangia: i sacerdoti che lo vedono lo addentrano subito ai misteri del tempio e gli viene poi data la possibilità di poter andare avanti nel suo percorso spirituale e giungere successivamente ai misteri solari di Osiride. Questo era il sistema antico: non era necessario essere sudditi di un sovrano religioso per poter accedere ad un percorso spirituale, ma vi erano sacerdoti ed ordini spirituali finalizzati a seguire e curare i meritevoli. Oggi questo sistema è stato interrotto: gli altari all’interno dei templi cristiani sono orizzontali, non verticali, e se per caso qualcuno comprendesse perchè viene innalzato il calice verso l’alto mentre si sente dire mistero della fede e lo dicesse al sacerdote, ci si sentirebbe tacciare di eresia e follia. Solamente ai sacerdoti che comprendono i significati dei simboli viene concesso di poter accedere ai misteri parodiati, rubati con violenza e conservati e tenuti dalla chiesa per il proprio potere, gli altri devono rimanere pecore che pascolano nei prati del Dominus, parola che significa Signore ma anche padrone ed il cristiano deve essere Servus (schiavo) del Dominus (padrone). Del resto è sempre stata ammessa l’origine della chiesa come religione degli schiavi. E’ chiaro che il problema di fondo è che l’uomo moderno è stato depauperato della possibilità di evolversi spiritualmente, necessitando le chiese cristiane di enormi greggi per il loro mantenimento. E’ normale che in chi si risveglia la scintilla della sapienza non è detto abbia sempre la possibilità di trovare il giusto punto di riferimento e quindi con facilità vengono a crearsi gruppi umani che, nel giusto principio della libertà di ricerca, a volte si innestano su terreni cultuali errati pensando di riscoprire vie tradizionali quando invece capitano in percorsi che traggono le loro origini dall’occultismo dell’800, prevalentemente frutto di èlite culturali da salotto tanto erudite ma prive dell’esperienza iniziatica del rito e che creano riti su basi intuitive che però difficilmente sono corrette. Quei pochi filoni di Tradizione, sopravvissuti in Italia nel corso dei secoli, sono come serpenti sacri scarnificati dagli artigli del felino cattolico, morenti ma che stringono tra i loro denti la sfera della coscienza, ma che non sempre i membri delle loro catene sono in grado di cogliere. Un articolo di Gianfranco Barbera, pubblicato in pietas n. 6 esprime al meglio lo sviluppo e la decadenza di determinate realtà. Ma si consideri che l’evoluzione spirituale dell’uomo consiste in un’ascesa, per giungere al tempio esistono diversi gradini, c’è chi rimane beato e pio nell’estasi dell’osservazione della bellezza artistica del tempio da fuori, c’è chi sale i gradini, c’è chi inciampa, c’è chi arriva alle porte e chi trova le chiavi per passere la Janua, la preziosa e pesante porta del tempio. Liberandosi dal cristianesimo e dal suo dominio culturale è normale che gli uomini vengano attratti in realtà relative al loro grado evolutivo: di volta in volta chi va avanti spiritualmente accede a nuove letture e nuovi gruppi. Con la creazione del Templum Minervae il nostro intento fu proprio quello di ridar vita al sistema templare e dunque possibilità d’evoluzione alle persone meritevoli. Voler abbattere o arginare gruppi con interessi diversi, con qualità tradizionali minori o maggiori delle nostre sarebbe un gesto d’arroganza, di pregiudizio, ma fondamentalmente sarebbe un’opposizione ad un fenomeno naturale di sviluppo spirituale umano.
- La società tradizionale sono Autorità, Ordine, Giustizia e Gerarchia, che sono i principi che governano il Cielo luminoso, i movimenti dei Pianeti e degli Astri, mediante Amor che muove il Sole e le altre stelle, come insegna Dante. L’uomo, Stato in piccolo, deve essere governato, illuminato, dalla Mente, dall’Intelletto che è il Sole dell’uomo ed è la sfera dell’ordine giuridico-religioso che forma, cioè dà la forma all’ordine politico che è l’insieme organico degli uomini, tanto i vivi quanto i morti, aventi il medesimo Destino, cioè un mandato sacro che proviene dal Divino e che quegli uomini devono riconoscere ed attuare, come Ordine degli Dei. E’ possibile, in tale ottica, una dinamica d’azione non solo in senso religioso, ma anche politica?
Nella dimensione romana, così come in quella pitagorica, non esiste una distinzione tra politica e religione, tra fede e scienza. Il vir romanus doveva affrontare un cursus honorum di cariche politiche e religiose. L’uomo romano al termine del diciassettesimo anno d’età assumeva la toga virile e poteva così intraprendere la vita politica e religiosa: egli assumeva il diritto di voto e di candidatura e la possibilità di emanciparsi dalla famiglia d’origine e poter andare a vivere da solo divenendo, suo iure, pater familias. Egli era sacerdote di stesso e della famiglia che formava. Così poteva assegnare ad esempio alla moglie o alla prima figlia femmina la custodia del focolare domestico e ai membri del suo nucleo familiare i culti della sua gens d’origine. Nel pitagorismo l’ultimo grado dei matematici era quello dei politici: questo perchè la scuola pitagorica puntava alla formazione di una classe politica dirigente che fosse spiritualmente evoluta. Oggigiorno nessuno vieterebbe ad un gentile o ad un gruppo di tradizionalisti romani d’intraprendere un percorso politico: sarebbe una loro scelta ma tradizionalmente la si può accettare solamente quando l’individuo calca questa via per pietas, ossia per senso del dovere nei confronti della comunità e non per soddisfare i propri desideri di vanagloria. Non bisogna farsi soggiogare dal demone della politica poiché nella via della Tradizione gli istinti e le paure sono da abbattersi perchè l’uomo possa prendere coscienza di se stesso. Il percorso di Ulisse è quello del Vir che intraprende il cammino verso la sua patria d’origine: Penelope dalle bianche braccia, più bianche dell’avorio tagliatorappresenta l’anima purificata e le prove che affronta Odisseo consistono nell’abbattimento dei nostri mostri interiori per giungere infine ad Itaca ossia all’originale presa di coscienza di se.
- Con altre associazioni partecipate a livello mondiale periodicamente al WCER ed in Italia intrattenete proficui rapporti di collaborazioni con realtà a voi simili. Ritiene che sia possibile un’interazione più ampia e profonda , al di là della semplice collaborazione culturale?
Tutto è possibile, basta volerlo e non desiderarlo, poiché il desiderio attenta costantemente alla volontà (come insegna Giuliano Kremmerz). Consideriamo ogni comunità come un individuo: due o più persone possono percorrere una strada o fare un viaggio assieme se proprio vogliono farlo; se non vogliono sono liberi di intraprendere ognuno la sua via per arrivare anche alla stessa meta. L’importante è non agire mai sulla volontà altrui, sarebbe una violazione del principio di libertà, un principio reale al quale ogni individuo deve aspirare per liberarsi dalle catene materiali ed eternizzarsi, ma l’intento di costrizione forzata deve sempre evitarsi per rispetto verso questa forza divina.
- Infine, una domanda che non vuole essere irriverente e che poniamo a tutti: perché tante comunità separate che si rifanno al tradizionalismo romano? E’ una necessità o vi è un’esplosione, come in politica, di personalismo? La ringraziamo del tempo che ha dedicato ad Ereticamente.
Questa domanda è simpaticamente terribile. Per comprendere le cause dell’attuale situazione dei gruppi tradizionali oggi in Italia è necessario fare un’analisi storica asettica e “intellettualmente onesta”. E’ troppo facile accusare i gruppi della tradizione romana di oggi di non essere uniti e separati, ma del resto bisogna riconoscere che il politeismo è la Tradizione delle tante vie, perciò è giustissimo che esistano diverse realtà tradizionali, ognuna col suo approccio e non sta a nessuno né il diritto e né il potere di sindacare sull’operato altrui.
La Tradizione romana è stata perseguitata, è stata smantellata e distrutta pezzo dopo pezzo, perchè i templi non venissero ricostruiti sono stati maledetti e smontati blocco per blocco e le loro splendide colonne sono andate ad ornare, in maniera disarmonica, le tante chiese sorte dalle loro macerie. Dove sorgeva un tempio c’è sempre una chiesa. Affinchè i sacerdoti non trasmettessero il loro sapere sono stati perseguitati e trucidati e chiunque osasse ricostruire qualcosa veniva nuovamente perseguitato fino alla pena capitale. Abbiamo impiegato duemila anni per liberarci dal potere temporale di questa violenta struttura che è stata la chiesa cattolica. Oggi abbiamo la libertà di scrivere e praticare, seppur limitatamente. Infatti sono vietati dalla costituzione i culti osceni, dunque non esiste la libertà di praticare orgie dionisiache, ma esiste la libertà di girare film pornografici dove avvengono le peggiori cose. La legge vieta il sacrificio animale, ma è possibile comprare polli o altri animali di sane origini (purtroppo non sempre certificate) per poterli trucidare in casa e mangiarli, così come sono legalizzate mattanze industriali vergognose (che poi si sottolinei che la carne sacrificata veniva mangiata!). Dunque la libertà di culto non è stata ancora pienamente raggiunta, le stesse cose che venivano fatte all’interno di alcuni misteri in piena sacralità oggi sono vietate come azioni rituali ma sono legalizzate ed ammesse se vissute come esaltazione dei sensi in maniera profana e dissacratoria. Ciò dovrebbe far riflettere sull’inversione totale dei valori di quest’epoca. E’ normale, anzi è un miracolo che in un’era così buia, senza punti di riferimento palesi e pubblici, siano riuscite a svilupparsi in diversi luoghi, in differenti modi e tempi, comunità che ricercano e applicano la via della Tradizione. Ognuna di queste strutture si è formata in mezzo a mille difficoltà: non dimentichiamo che il problema di fondo della nostra via è che oggi è un percorso alternativo, e purtroppo a volte ci si avvicina a questi percorsi solamente per seguire una moda. Ancor peggio non si dimentichi che ciò che è alternativo e fuori dai ranghi tende sempre ad avvicinare disadattati sociali, persone con seri problemi psicologici che quando vengono poi rifiutate, alle stesso modo di Cilone con Pitagora, vanno in giro diffamando e calunniando queste realtà e se possono provano a distruggerle, così come fecero i seguaci di Cilone con la scuola Pitagorica, che dopo aver donato un impero ai Crotoniati, realizzando la prima Italia, venne bruciata; quelli che fino al giorno prima erano i santi maestri matematici vennero inseguiti per le strade e lapidati e questa storia facilmente si ripete con questo humus di gente che cerca di gravitare ed entrare all’interno delle associazioni di Tradizione Romana. E’ ovvio che in queste condizioni esista una sfiducia generale, perchè possa avviarsi un processo di serie collaborazioni tra le nostre realtà deve riuscire a svilupparsi una maturità profonda in tutti i gruppi e ovunque, purtroppo, queste cellule tumorali che provano ad avvicinarsi e creare distruzione, dovranno essere identificate ed asportate. Occorre estirpare col sangue e col fuoco la discordia dalla famiglia, dalla comunità e dalla città, questo precetto pitagorico deve valere anche per le realtà della tradizione in Italia, fin quando non raggiungeranno una determinata stabilità interna difficilmente riusciranno ad avviare un processo di collaborazione su punti d’intenti comuni.
Il problema di fondo dell’epoca contemporanea è la mancanza di valori etici e di uomini in grado di incarnarli: pochissimi emergono dalle folle di genti che popolano il nostro paese ma a quei pochi noi cercheremo di dare i mezzi necessari per lo sviluppo di se stessi e di una maturità collettiva maggiore. Tutti dovremo impegnarci per l’incarnazione delle virtù più alte, altrimenti sarà inutile il solo tentativo d’ incontro e cooperazione.
La Pietas è qui, salda, seria e pura nel suo intento a lavorare per la riscoperta, per la diffusione e valorizzazione della Tradizione classica, coadiuvata da persone di grande esperienza che sono colonne della Tradizione in Italia, aiutata nel suo operato da uomini ed autori che arricchiscono le sue pubblicazioni; i risultati che la Pietas sta ottenendo danno grande fiducia nel suo operato: negli ultimi anni l’associazione è cresciuta in maniera esponenziale nel numero dei suoi membri, nonostante la rigorosa selezione per ogni persona allontanata se ne sono avvicinate altre due e così si va avanti, al passo coi tempi. Non ci si cura dei pettegolezzi, delle voci e dei moralismi che si sentono dire intorno su chiunque: la Pietas avanza con una coscienza sana e sacra, pienamente limpida, matura ed esente da isterismi, pronta a collaborare e a fare il sacro (ossia sacrificarsi) per la Tradizione con chi abbia la sua stessa purezza d’intenti e si sa che al destino di risveglio del Sacro Spirito della Romanità è impossibile opporsi, ma è necessario impegnarsi alla creazione di sani punti di riferimento, altrimenti ancora una volta ci sarà un’avventura effimera della romanità, come è accaduto alle parodie storiche che ci hanno preceduto, come nella costituzione dello stato americano, nella rivoluzione francese, nel sacro romano impero germanico, nell’impero napoleonico etc., tutti fenomeni che assunsero per scimmiottamento i simboli di Roma ma non ne colsero lo Spirito reale.
fonte: http://www.ereticamente.net/2013/03/intervista-giuseppe-barbera-dellass.html