Alchimia, scienza divina.

intervento di Giuseppe Barbera estratto dagli atti del convegno “L’alchimia, storia di una scienza”, Università di Roma La Sapienza anno 2007

Il serpente in alto è lo spirito del mondo, che a tutto dona la vita, tutto uccide, e in se reca tutte le forme naturali. Isomma esso è tutto e nulla… Il serpente in basso è detto Ouroboros. In lingua copta Ouro significa re, mentre ob in ebraico significa serpente. – Abram Eleazar, Donum Dei, Erfurt, 1735.
Il serpente in alto è lo spirito del mondo, che a tutto dona la vita, tutto uccide, e in se reca tutte le forme naturali. Isomma esso è tutto e nulla… Il serpente in basso è detto Ouroboros. In lingua copta Ouro significa re, mentre ob in ebraico significa serpente. – Abram Eleazar, Donum Dei, Erfurt, 1735.

E’ nota presso di noi l’alchimia come forma antenata della chimica, ma in realtà il

sapere della nostra scienza moderna non ci permette di definire quale delle due materie sia più evoluta o meno, certo il sistema attuale permette di precisare oggettivamente i risultati materiali, cosa che l’alchimia non sempre può fare, in particolar modo nel suo contesto spirituale, essendo l’esperienza del caso legata al soggetto, anche quando l’esperienza è uguale per tutti, la si vive comunque nell’intimità individuale. Effettivamente d’Aquino stesso spiega che esistono diversi tipi di pietre, ed ognuno può produrne alcune, più o meno volgari[1].

[1] Tommaso d’Aquino, L’Alchimia, Roma 1996.

Il disegno in alto a sinistra bene spiega ciò: l’uomo è un microcosmo in cui esiste lo spirito del mondo con tutte le sue essenze, incastrate allo stesso modo in cui la figura della stella a sei punte si intreccia, ed ogni uomo tende interiormente più o meno ad un diverso metallo. Ma che significa tendere ad un metallo? Significa avere un carattere più o meno aureo, più o meno stagnoso, più o meno ramoso. In che senso?

La porta ermetica addossata in un angolo dei giardini di Piazza Vittorio a Roma, qui in una incisione tratta dalla Sapienza dei Magi, di Giuliano Kremmerz; è questo un raro esempio di monumento alchemico, riportante nella sua simbologia l’opera per la realizzazione dell’individuo.
La porta ermetica addossata in un angolo dei giardini di Piazza Vittorio a Roma, qui in una incisione tratta dalla Sapienza dei Magi, di Giuliano Kremmerz; è questo un raro esempio di monumento alchemico, riportante nella sua simbologia l’opera per la realizzazione dell’individuo.

Questa idea del carattere legato al metallo benissimo si esprime nella tradizione greca e romana, difatti ogni metallo conserva un carattere divino, stessa cosa facciamo anche noi, e la mitologia rappresenta gli dei con caratteri umani per consentire di definire al meglio come riconoscere quale carattere divino abbia il sopravvento nel momento della vita di un uomo. Dunque la donna fedele al marito ha un carattere argento, essendo questo il metallo della Luna, a sua volta pianeta[1]di Giunone, dea moglie di Giove garante del matrimonio e della fedeltà coniugale. Il lavoro alchemico serve a raggiungere la realizzazione dell’oro, ossia uno stato di beatitudine che è legato al Sole, astro che illumina il mondo e porta la vita ovunque arrivi la sua luce, sin nelle profondità dei mari.

[1] Nonostante la Luna sia un satellite continuiamo a chiamarlo pianeta quando vogliamo rivolgerci al significato che le davano gli antichi: influenze siderali sulla vita degli uomini e sugli eventi del mondo, astro legato ad una essenza divina.

ermete con candelabro

A Roma si conserva un monumento alchemico d’essenziale interesse: la porta ermetica. In essa possiamo leggere l’importanza di ordinare i diversi elementi e le differenti essenze che compongono l’uomo, in maniera tale di uscire dal Caos primordiale e realizzare l’ordine divino in noi: attuato ciò sarà possibile attraversare la porta della sapienza e della conoscenza e rispondere a quelle domande cui l’uomo s’interroga sin dall’origine dei tempi.

Il Mercurio, appellato dal Sole come Filius Noster, emerge dalle acque e reca in mano l’antimonio.
Il Mercurio, appellato dal Sole come Filius Noster, emerge dalle acque e reca in mano l’antimonio.

Ma tale sapienza non deve essere svelata poiché è una conquista che può intendere solo chi raggiunge e non esistono parole per trasmetterla, ecco perché il libro alchemico più veritiero è il mutus liber, un testo fatto solo d’immagini, dove

l’intelligenza dell’individuo per comprendere supera la dimensione della parola, penetrando quel mondo delle idee che tanto ha voluto far conoscere Platone tramite la filosofia socratica, da lui riportata; così anche il Mercurio, che è al centro della nostra prima immagine, invita il praticante al silenzio e reca nella sua mano sinistra il fuoco dei sette pianeti.

Ed è proprio tramite il mercurio che bisogna compiere l’opera alchemica, Mercurio che

La Luna, che governa tutte le cose umide, partorisce il re immacolato dall’abito purpureo, ossia la tintura rossa, la tintura universale che guarisce tutte le imperfezioni. S. Trismosin, splendor solis, Londra XVI sec.
La Luna, che governa tutte le cose umide, partorisce il re immacolato dall’abito purpureo, ossia la tintura rossa, la tintura universale che guarisce tutte le imperfezioni. S. Trismosin, splendor solis, Londra XVI sec.

deve astrarsi dalle acque delle passioni per donare all’uomo l’antimonium, la soluzione necessaria alla nostra divinizzazione.

In alchimia ogni cosa ne genera altre e la madre di tutto è la natura, esterna ed interna all’uomo, generazione che può essere riprodotta dall’uomo in laboratorio e così la Luna ben gestita può generare il re immacolato dall’abito purpureo, salvatore dell’umanità per le sue qualità terapeutiche.

Tutta questa serie di “generazioni” deve portare alla realizzazione finale, ad una completezza che viene spesso rappresentata nel c.d. androgino ermetico, un essere che vince l’istinto e il bisogno, poiché completo in se. Michael Maier lo pensa incorporante tutti e quattro gli elementi[1]. Ma a quali elementi si riferisce? Secondo la filosofia pitagorica l’uomo è composto di quattro elementi: terra, acqua, aria e fuoco. Gli alchimisti vedono in ognuno di questi la preponderanza di quattro metalli basilari: piombo, argento, mercurio, oro. L’uomo vitruviano è inscritto in un cerchio, figura che per Pitagora rappresenta il Caos, ossia la sostanza che contiene in se, in maniera

I filosofi attribuiscono alla materia fredda e umida il carattere femminile (Luna) e a quella calda e secca il carattere maschile (Sole). L’androgino, dunque incorporerebbe in se tutti e quattro gli elementi – Michael Maier, Atalanta fugiens, Ottenheim, 1618.
I filosofi attribuiscono alla materia fredda e umida il carattere femminile (Luna) e a quella calda e secca il carattere maschile (Sole). L’androgino, dunque incorporerebbe in se tutti e quattro gli elementi – Michael Maier, Atalanta fugiens, Ottenheim, 1618.

disordinata, i quattro elementi costituenti l’universo[2]; da qui nasce il dilemma della setta pitagorica: la quadratura del cerchio.

[1] Michael Maier, Atalanta fugiens, Ottenheim 1618.

[2] Giuseppe Barbera, Il Pitagorismo in Italia ieri e oggi, Roma 2005.

Credendo difatti i pitagorici che l’universo è una realtà ordinata e misurabile, così come le leggi che lo regolano, cercavano una formula matematica che permettesse all’uomo di riordinare i suoi elementi per raggiungere la sua realizzazione. Dunque la formula 2 π r corrisponde ad una pratica alchemica capace di delineare i quattro corpi dell’uomo:uomo-vitruviano-di-Leonardo-Da-Vinci

  1. fisico
  2. anima
  3. intelligenza
  4. spirito;

corrispondenti ai quattro elementi ed ai relativi metalli. La serie di attività che avvengono nell’operazione trovata da Pitagora porta a conoscere i sette metalli nelle loro manifestazioni, così rappresentate dagli alchimisti nel seguente disegno:

vitriol

Ad ogni metallo corrisponde un evento: al Saturno un corvo che si posa su uno teschio sepolto, al Giove la trasformazione del cranio in una colomba che viene

Il monocordo è il principio interiore che dal centro dell’universo realizza l’armonia di tutta la vita del cosmo. – Robert Fludd, Utriusque Cosmi, vol.I, Oppenheim, 1617.
Il monocordo è il principio interiore che dal centro dell’universo realizza l’armonia di tutta la vita del cosmo. – Robert Fludd, Utriusque Cosmi, vol.I, Oppenheim, 1617.

estratta dal corvo da sottoterra, sicché le bianche colombe segnano sotto Marte l’uccisione del corvo per innalzare una corona sotto il segno del Sole, poi in Venere nascerà una pianta ed  in Mercurio l’unicorno anticiperà la venuta della sacra Vergine. Sette passaggi, identici per tutti, definiti dai pitagorici in una semplice formula. Gli alchimisti celarono questo insieme di attività sotto l’utilizzo del c.d. Vitriolo, Vitriol che significa: Visita Interiora Terrae Rectificando Invenies Occultam Lapidem. Laddove i pitagorici usarono una formula, gli alchimisti applicarono un acido. Che l’Alchimia abbia elementi in comune con la filosofia pitagorica lo si vede in diversi concetti acquisiti. È il caso della figura seguente, dove il cosmo è rappresentato in un’armonia musicale.

L’idea che i pianeti esprimessero dei suoni nel loro moto[1] è prettamente pitagorica, così le sette note vengono definite dalla scuola crotoniate per riferire il moto dei pianeti esterni (macrocosmo) e di quelli interni (microcosmo), note che sensibilizzano diversi metalli, ovvero diversi caratteri umani, sicché ancora oggi usiamo per diverse occasioni della nostra vita, musiche con tonalità differenti. Il linguaggio matematico verrà usato fortemente in alchimia, la massima espressione di ciò è la definizione completa dell’opera che si dà nella Turba philosophorum[2]:

Voi parlate assai oscuramente e troppo. Ma io voglio indicare completamente la Materia, senza tanti discorsi oscuri. Io ve lo ordino, o figli della dottrina: congelate l’argento vivo. Di più cose fatene due, tre e di tre una. Una con tre è quattro. 4,3,2,1; da 4 a 3 vi è 1; da 3 a 4 vi è 1, dunque 1 e 1, 3 e 4. Da 3 a 1 vi è 2, da 2 a 3 vi è 1; da 3 a 2 vi è 1. 1, 2 e 3 e 1, 2 di 2 e 1, 1. Da 1 a 2 vi è 1; dunque 1. Vi ho detto tutto”.

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In conclusione possiamo definire l’alchimia come una scienza universale, le cui logiche trovano riscontro nella sperimentazione scientifica e per analogie applicate all’essere umano, tanto che Tommaso d’Aquino ci spiega che “tutta l’arte alchemica elesse la propria sede nell’intelletto e nella dimostrazione dell’esperienza[3].

[1] A riguardo questa teoria si veda il Somnium Scipionis di Cicerone, libro conclusivo del De Republica.

[2] Sec. XIII

[3] Tommaso d’Aquino, L’Alchimia, Roma 1996.

La scuola pitagorica femminile

Siamo attorno l’anno 530 a.C., quello dell’arrivo di Pitagora a Kroton, nel quale il maestro Samio propose alle donne della città di lasciar perdere una vita dedita alla vanità ed all’accumulo di ricchezze ma di ricercare la propria essenza, se stesse e la propria dignità nello pratica dello studio e delle virtù. Così registriamo che numerose teanodonne offrirono i loro  abiti migliori al tempio di Hera e che cominciarono lo studio della matematica, dell’astronomia, della musica e della teologia all’interno della scuola. Essendo questa l’unica realtà filosofica e pedagogica dove erano ammesse le donne, per tanti altri secoli la sola, troveremo poi nelle accademie tardoantiche  neoplatoniche e neopitagoriche di Alessandria l’ultima grande pitagorica: Ipazia, la quale venne trucidata dai monaci paraboloni per volontà del violento vescovo Cirillo, santo della chiesa cristiana. 

Kroton fu la prima città della Magna Grecia ad avere donne di grande rilievo e risalto. Se già la donna greca aveva diritti e poteri che solo a lei spettavano (come ad esempio l’emancipazione degli schiavi), quella pitagorica assume una funzione ancora più importante nell’ottica sacrale di cui la rivestiva la filosofia del maestro samio. 

Infatti la donna, come si è appena detto, era considerata legata alla Luna e l’osservazione dei Pitagorici, considerava Luna e Sole due realtà inscindibili grazie alle quali era possibile la vita sulla terra. Così la Luna era la matrice dell’universo, generatrice di ogni cosa, che elargiva grazie, salute e prosperità. Il Sole era invece concepito come l’astro datore di Luce, che la produceva di proprio col suo fuoco interiore, ma che solo la Luna era in grado di riflettere dolcemente sulla terra, rendendo così la stessa luce del Sole meno aggressiva e dannosa. Sia l’uomo che la donna erano visti come elementi quasi sterili se presi a se stessi ed isolati, ma l’interazione amorosa tra loro era il segreto per la generazione della vita e per la realizzazione di ognuno. La vita di coppia era dunque considerata importantissima per il filosofo pitagorico, tanto che lo stesso Pitagora era sposato.

Numerose sono le donne pitagoriche note (da Teano ad Ipazia di Alessandria) ed importantissimi i contributi che diedero alla dottrina della scuola. Peccato che la misoginia del cristianesimo delle origini portò alla cancellazione delle loro opere, ogni rimasuglio dei loro testi venne cercato per essere bruciato, ed a noi oggi rimangono solo poche notizie, ma sufficienti a sapere quanto la donna fosse importante per i pitagorici.

Giuseppe Barbera

ESTRATTO DA “Nascita del pitagorismo nell’antica Kroton”, di Giuseppe Barbera.
https://play.google.com/store/books/details/Giuseppe_Barbera_Nascita_del_Pitagorismo_nell_anti?id=AC7jAgAAQBAJ

La dottrina della scuola pitagorica

scula pitagorica Intorno al 530 si ebbe l’arrivo di Pitagora a Crotone, luogo dove il filosofo restò per ben vent’anni[1].
Le fonti storiche riportano che Pitagora “era fuggito da Samo e dai padroni dell’isola. Viveva in esilio volontario per l’odio verso la tirannide.[2] Arrivato nella città affacciantesi sul mar Ionio, il filosofo samio trova una polis indebolita nell’animo dalla sconfitta presso la Sagra, infiacchita e dedita al lusso, allontanatasi dall’amore per la religione[3]. Nonostante questa crisi morale una parte della componente aristocratica all’interno della città accolse Pitagora con piacere, essendo questi un nemico dichiarato del lusso[4], elemento quest’ultimo che caratterizzava l’oligarchia cavalleresca di Sibari[5], rivale morale e politica della Kroton della seconda metà del VI sec. a.C.

L’aristocrazia crotoniate era rappresentata dagli atleti ed era poco propensa verso la vita di comodità e di mollezze che caratterizzava il lusso sibarita[6], anzi l’atteggiamento verso il mondo del lavoro non era sprezzante come a Sibari[7]: eminenti pitagorici, come Hippaso, svolgevano attività di artigianato[8] e la polis traeva la sua ricchezza dal commercio e dalle attività portuali[9].

Pitagora propone un nuovo modello politico e sociale, dove l’oligarchia dirigenziale sia acculturata con una saggezza di tipo tradizionale[10], in cui rientrano le antiche concezioni mitiche e religiose ma nello stesso tempo rinnovate e rivitalizzante dal razionalismo della filosofia  e della logografia ionica[11]. Il manifesto del pensiero politico di Pitagora è espresso nei suoi discorsi[12] contenenti un doppio motivo di propaganda[13]: la rivalorizzazione delle tradizioni poliadi e l’esaltazione della saggezza. In primis il filosofo proponeva il recupero dei modelli sociali rappresentati dell’identità culturale crotoniate: Herakles, fondatore dei giochi Olimpici, Hera cui si rivolge il culto delle matrone, Apollo Pizio divinità tutelare dei giovani e della città, fondata sotto i suoi responsi. In secondo luogo l’esaltazione della saggezza comportava una presa di distanza rispetto agli eccessi[14], un invito alla moderazione dei bisogni e dei consumi che guidava la comunità ad accostarsi ad uno stile di vita dorico e in particolar modo spartano[15]. Questo stile di vita era finalizzato ad avvicinare il ceto medio a quello nobile: moderando i consumi si sarebbe moderato lo sfruttamento condotto dagli aristocratici sui ceti medi e il rifiuto del lusso avrebbe avvicinato i primi ai secondi[16].

Tutto ciò ebbe una serie di importanti ripercussioni nei diversi ambiti della vita cittadina: in campo militare si superavano le condizioni di combattimento agonale ed eroico a favore delle tecniche oplitiche con uomini inseriti in ranghi serrati, il cui armamento erano in grado di fornire anche le classi medie[17]; in ambito politico si realizzarono le basi per un consolidamento della comunità e la lotta al lusso e agli eccessi risvegliò l’orgoglio crotoniate anti-sibarita[18]. Catarsi ed instillazione del sentimento comunitario sono le due azioni che precludono alla successiva formazione sapienziale nella metodologia educativa del maestro.

Pitagora trovò in Kroton un terreno fertile: dopo aver parlato agli anziani essi gli chiesero di tenere discorsi al popolo e ai giovani, ragionamenti che trovarono subito grandi proseliti fra i cittadini, i quali videro in Pitagora la possibilità di riscatto all’insoddisfazione maturata dopo la sconfitta della Sagra[19].

Nasce in Crotone una scuola finalizzata a creare membri di una classe aristocratica di illuminati, in grado di giudicare gli eventi e di intraprendere i giusti provvedimenti in virtù della saggezza innovazioni teologichedivina che viene loro inculcata dagli insegnamenti del maestro[20].

I membri della scuola erano suddivisi in due schiere: i matematici e gli acusmatici[21]. I primi erano coloro che venivano considerati illuminati sulla via del sapere per aver sperimentato in prima persona ciò che c’è da insegnare, i secondi erano gli uditori che dovevano apprendere e non avevano diritto di parola nei consessi e nelle assemblee della schola[22], addirittura non potevano neanche vedere il maestro mentre spiegava nella tenda della sua scuola, ma silenziosamente dovevano ascoltarlo da fuori. Numerose prove erano finalizzate a selezionare e forgiare individui che incarnassero virtù supreme per essere i nuovi pilastri della società crotoniate.

Ma l’idea di Pitagora non si fermava alla creazione di una piccola isola felice composta da uomini virtuosi guidati da sapienti illuminati: egli per primo concepì una fratellanza non solo tra uomini ma tra città di un’unica realtà territoriale, egli per primo pensò l’Italia ed i suoi discepoli si armarono di una suprema volontà che li condusse al controllo della Magna Grecia: la lega Italiota era uno stato pitagorico, dalle leggi al calendario solare, dalla pietà per gli dei alla guerra per la diffusione di una nuova luce antesignana dell’ideale ellenistico alessandrino di ben tre secoli, una prima Italia sociale che verrà poi disgregata dalla reazione della borghesia crotoniate avente come massimo esponente quel Cilone, allontanato dalla schola per il suo carattere prepotente ed arrogante, che fu la miccia che scatenò la violenza strumentalizzata dai faziosi possidenti terrieri che ambivano alla creazione di latifondi a discapito dei piccoli possessori.

Per i pitagorici l’aristocrazia maschile non deve decadere moralmente con la ricerca forsennata dell’accumulo di beni, bensì le si propone di incarnare il nuovo modello di saggezza e tradizione proposto da Pitagora; i nobili crotoniati acquisiscono questo modello archetipale e  l’aristocrazia femminile fa altrettanto in funzione al ruolo della donna nella famiglia Crotoniate, cominciando così a seguire i riti presso gli altari[23] spogliandosi delle vesti più preziose: le donazioni al tempio per liberarsi dalla schiavitù del lusso divengono proverbiali e l’assunzione di uno stile di vita morigerato fondato sull’equilibrio, estratto dal modello sociale che viene loro insegnato nella scuola pitagorica femminile[24], diventa un cardine esemplare. Questa struttura fu organizzata in prossimità del tempio di Hera Lacinia[25]: in ciò appare chiara la volontà di recuperare il modello sociale rappresentato dalla dea Hera, moglie ideale poiché sposa di Zeus[26].  Secondo la dottrina pitagorica la donna aveva il suo riferimento cosmico nella Luna, e con questo astro era in stretta connessione, tanto che una donna spiritualmente sana era considerata quella che avesse un ciclo regolare come quello della Luna stessa. La scuola pitagorica femminile si sviluppò in contemporanea a quella maschile ed organizzata similmente con tanto di donne matematiche e donne acusmatiche.

In sintesi la dottrina politica della scuola pitagorica può riassumersi nell’intento di formare uomini spiritualmente sensibili, che abbiano abbattuto passioni e interessi, per partecipare alla creazione di uno stato giusto guidato da individui illuminati per il benessere di tutti nel pieno equilibrio delle parti sociali, il tutto in una unità sociale che superasse la polis e creasse, per la prima volta, uno stato nazionale.

NOTE:

[1]              MELE 1992, pag. 22.

[2]              Ovidio Metamorphoseon, XV, 61. Porfirio nella Puqagorou bioj, 9 inquadra la fuga di Pitagora da Samo intorno ai suoi 40 anni d’età, poiché vide che la tirannide di Policrate diventava un governo assoluto insopportabile per un uomo libero.

[3]              MELE 1992, pag. 22.

[4]              ibid.

[5]              ibid.

[6]              MELE 1992, pagg. 22, 23.

[7]              MELE 1992, pag. 23.

[8]              ibid.

[9]              ibid. L’antagonista Sibari, invece, traeva ricchezza dallo sfruttamento delle risorse del territorio, ciò comporta che l’aristocrazia viveva sul lavoro degli schiavi e dei componenti delle classi più povere.

[10]             MELE 1992, pag. 23.

[11]             MELE 1992, pag. 23.

[12]             I discorsi di Pitagora vengono riportati da fonti autorevoli e a lui contemporanee: Antistene, Dicearco, Timeo.

[13]             MELE 1992, pag. 23.

[14]             ibid.

[15]             ibid.

[16]             ibid.

[17]             MELE 1992, pagg. 23, 24.

[18]             MELE 1992, pag. 23. Orgoglio antisibarita che trovava fondamento nell’identificazione di Sibari con lo stile di vita molle e lussuoso.

[19]             MELE 1992, pag. 23.

[20]             BARBERA 2006, pag. 12.

[21]             BARBERA 2006, pag. 33.

[22]             BARBERA 2006, pag. 12.

[23]             MELE 1992, pagg. 20 e ss.

[24]             BARBERA 2006, pagg. 12 e ss.

[25]             ibid.

[26]             ibid.

ESTRATTO DA “Nascita del pitagorismo nell’antica Kroton”, di Giuseppe Barbera.
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ereticamente.net intervista il presidente Barbera

a cura di Luca Valentini per ERETICAMENTE.net

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  • Dott. Barbera la vostra Associazione è possibile collocarla nel quadro di diversi raggruppamenti del cosidetto “tradizionalismo romano”, ma sotto quali aspetti il vostro percorso si differenzia dagli altri?

L’Associazione Tradizionale Pietas è una realtà eterogenea composta prevalentemente da comunità connesse tra loro nell’interesse delle tradizioni greco-romane in Italia. L’approccio alla Tradizione avviene in maniera asettica, evitando forme di fanatismo o visioni faziose che possano alterare la reale comprensione della Tradizione in se stessa. La nostra entità è culturale e non religiosa poiché consideriamo, allo stesso modo degli antichi romani, la Pietas come un corpo di valori nel percorso della filosofia intesa come via di ricerca della sapienza a discapito dell’approccio religioso, reputata come una forma di misticismo che rallenta il cammino della comprensione.

Purtroppo non mi è possibile chiarire su cosa il nostro percorso si differenzi dagli altri perchè non conosco metodi e percorsi di altri gruppi di tradizione romana in Italia, mi è possibile definire con chiarezza l’organizzazione all’interno della nostra struttura: in Pietas ci si può accostare in diversi modi alla tradizione, cominciando dallo studio dei testi classici e sacri della nostra tradizione (Iliade, Odissea, Eneide, Georgiche, Bucoliche, Teogonia etc.) con un’ottica esoterica in senso socratico fino ad arrivare anche alla comprensione ed alla pratica del rito antico nell’ottica della pietas greco-romana.

  • Si nota nei vostri scritti, nella vostra rivista una propensione particolare per il Pitagorismo, e ciò non crediamo sia solo motivato dall’essere la sua Associazione sorta a Crotone in Calabria. Può cortesemente sintetizzarsi quali connessioni vi sono tra la vostra visione del mondo ed il Pitagorismo?

La connessione tra pitagorismo e tradizione romana nasce nella prima Italia. Se è vero che Roma, affacciandosi sul Mediterraneo, coglie il testimone della civilizzazione alessandrina del mondo, già prima aveva ripreso l’intento pitagorico di creare un’Italia unita. L’esperienza della Lega Italiota fu la prima volontà d’unità della penisola e nacque proprio nell’ambito Crotoniate. Quando poi il nuovo centro del Pitagorismo divenne Taranto e ci fu la famosa guerra contro Roma del 270 a.C., l’Urbe eterna decise di abbracciare l’ideale pitagorico (riconoscendo in esso dei motivi ideologici già presenti a Roma) creando il mito del re Numa discepolo di Pitagora. Storicamente questo discepolato diretto è impossibile a causa della distanza cronologica tra le vite di Numa e Pitagora, ma chiaramente venne messo in atto un sistema di propaganda finalizzato ad unire la Magna Grecia (prevalentemente pitagorica) con la componente socio-politica e culturale romana, motivo per cui verrà posta la statua del filosofo samio all’ingresso della Curia Optimia. Dunque la nostra propensione per il pitagorismo si aggancia ad un motivo culturale che si espresse con grande forza nell’antica Roma: le stesse riforme dei Gracchi ricalcavano le idee di Pitagora in merito alla riorganizzazione dei terreni della distrutta Sibari, così i Gracchi volevano ripartire similmente i terreni della distrutta Cartagine; sia Pitagora che i Gracchi trovarono l’opposizione delle aristocrazie terriere.

  • Un numero della rivista Pietas è stato dedicato alla figura altamente stimabile di suo padre, come fondatore dell’Associazione. Senza voler esser invadenti e scortesi, possiamo chiederle, a livello spirituale ed in sintesi, quale è il lascito più importante che Gianfranco Barbera ha consegnato alle nuove generazioni che a voi si avvicinano?

pietas 5Onestà intellettuale, equanimità, impegno. L’onestà di riconoscere dove stiano i limiti e dove ricercare la grandezza della nostra tradizione; il dare il giusto valore alle cose ed alle persone abbattendo la faziosità e gli interessi del proprio ego; L’impegno, ossia la Pietas, l’impegno verso la famiglia, gli amici, la patria e gli dei. Oggi Crotone si presenta come città di Pitagora con i suoi cartelloni all’ingresso della città, con monumenti dedicati al grande filosofo, ma prima dell’avvento di Gianfranco Barbera a Crotone e del suo interesse alla politica cittadina l’unico monumento della città era uno scoglio messo al centro di una piazza in via Cutro, dal quale ogni tanto sgorgava un po’ d’acqua. Sessant’anni di socialismo reale avevano cancellato ogni traccia di memoria storica: Gianfranco Barbera attuò una vera rivoluzione culturale a Crotone, sensibilizzando chiunque, al di là delle posizioni politiche, alle antiche tradizioni crotoniate. Nonostante fosse un militante attivo di destra, la sinistra crotonese ebbe sempre grande stima della sua cultura e dei suoi valori, tanto da commissionargli dei quadri sulla fondazione dell’antica Kroton e sulla scuola pitagorica oggi nell’androne del palazzo della provincia in via Mario Nicoletta.

  • Oltre al Pitagorimo, nella rivista, negli scritti di suo padre e suoi abbiamo notato un continuo riferimento all’esperienza magica del Gruppo di Ur, non solo verso la componente pitagorica (Reghini –Parise), ma anche gli insegnamenti ermetici (Quadrelli) e antroposofici (Colazza – Scaligero). Che legame certi insegnamenti possono avere con una via di cultualità gentilizia italico-romana?

Nel suo percorso Gianfranco Barbera cercò, sin da giovane, la via della Tradizione. Allo stesso modo di Ulisse viaggiò per i mari ed approdò a diversi lidi fin quando non giunse a quello tanto agognato della via Romana. Si è sempre definito un gentile e nonostante le sue posizioni dichiarate molti uomini di chiesa avevano grande stima della sua figura tanto da commissionargli restauri di quadri antichi di culto cristiano. In ciò egli fu l’incarnazione della tolleranza e del dialogo: se non avesse mai studiato i vangeli e la bibbia e grandi teologi come Kircher, D’Aquino e D’Agostino non avrebbe mai potuto, per mezzo delle comparazioni, far comprendere ai sacerdoti cristiani i motivi delle sue posizioni, dagli altri sempre rispettate ed apprezzate. Egli, in pieno spirito romano, studiava anche le tradizioni degli altri per trovare punti di sincretismo e di comuni origini: del resto la stessa cosa la fecero i Romani con i Greci e con i diversi popoli assoggettati. Ma nonostante ciò più andava avanti negli anni e più ricercava la tradizione prisca della Roma arcaica abbandonando le fasi di quei grandini più in giù, della piramide spirituale dell’umanità, dai quali passiamo tutti quanti ma solo in pochi poi si ascende a quelli più stretti.

  • In Italia, suolo di Roma Eterna, da Romolo a Pomponio Leto vige un sospettoso silenzio, dalla scuola ai media, sui temi della Cultura Classica. Crede ciò sia dovuto solo all’antagonismo egemonico e secolare della Chiesa o intravede altri e più subdoli Avversari?

Certamente esiste un intento di origine occulta finalizzato a sconnettere gli uomini d’Italia dai loro geni originali, probabilmente il nostro potenziale è tale da far si che altri temano un nostro predominio in caso di risveglio collettivo delle coscienze, così da tenerci distanti dalle nostre tradizioni patrie per poterci gestire e controllare al meglio. Un albero senza radici può essere sradicato subito. Ma per quanto possano cancellare l’informazione sulle nostre origini, nel genoma italico risuona e ribolle il legame coi geni ed i numi dei nostri antenati, pertanto l’invincibilità della Tradizione sta nella sua capacità di sopravvivenza nonostante l’occupazione culturale dello straniero.

  • In merito alle evidenti condizioni di decadenza non solo del mondo moderno, ma anche di tutto un mondo del tradizionalismo che spesso sfocia quasi nella parodia del Sacro, che non in un suo sperato recupero, voi intendete porvi come argine oppure giudicate non esserci i presupposti per un’analisi negativa, così come da noi sintetizzata?

partenoneEsiste non solo in Italia, ma in tutta Europa, un risveglio verso la Tradizione. Un sentire che tende a fuoriuscire dalle catene materiali e morali imposte dalle religioni moderne che hanno cancellato l’antico sistema di diffusione della Sophia, ossia della sapienza. Nel mondo antico l’approccio al rito era differente. Se oggi già da giovani s’impone la presenza ad adunanze collettive, chiamate messe, finalizzate alla circonvenzione culturale degli uomini che da potenziali eroi invece devono comportarsi come pecore al servizio del pastore che da loro trarrà il suo profitto ed il suo guadagno, nel mondo antico l’accesso al tempio era riservato solamente ai meritevoli. Il paradigma cristiano “beati i mendicanti di spirito” è stato cangiato in “beati i poveri di spirito”, forse per un’errata traduzione o forse con un voluto intento di cancellazione della meritocrazia ed appiattimento spirituale della popolazione al fine di controllarla e gestirla al meglio. Guardando oggi un tempio romano notiamo, generalmente, un particolare importante: all’interno del tempio era posta l’ara, un altare verticale che simboleggiava l’aspirazione verso l’alto del praticante che entrava nel Naos. All’esterno l’altare era un parallelepipedo posto sulla scalinata che sviluppava la sua lunghezza in orizzontale: qui avvenivano i sacrifici per la collettività, il sacerdote coadiuvato da alcuni assistenti saliva alcuni gradini e sacrificava gli animali simbolo delle cose che vanno lasciate fuori dal tempio per potervi ascendere. Il sacrificio massimo era il Suovetaurilia, ossia un maiale, una pecora, un toro; i bassi istinti della riproduzione e della gola erano rappresentati dal maiale, l’ignavia dalla pecora, l’arroganza e la prepotenza dal toro. Questo altare era orizzontale perchè voleva proiettare il suo intento verso l’orizzontalità della materialità e del popolo profano. Durante il rito erano i sacerdoti e gli iniziati che pronunciavano le formule sacre, non vi era la partecipazione di tutti nel cantare inni o altro: il popolo assisteva, non partecipava attivamente, ma ricettivo frequentava il tempio per assumere la luce sapienziale dei suoi sacerdoti. Quelli che comprendevano il motivo dei gesti e delle azioni rituali, quelli che capivano perchè in processione venissero portati simboli particolari come calici e crateri, o rose o quanto altro scegliessero i sacerdoti, quelli venivano addentrati alla sapienza del tempio; significativo l’esempio di Apuleio nell’asino d’oro: egli partecipa alla processione isiaca, comprende il motivo della rosa in processione e la mangia: i sacerdoti che lo vedono lo addentrano subito ai misteri del tempio e gli viene poi data la possibilità di poter andare avanti nel suo percorso spirituale e giungere successivamente ai misteri solari di Osiride. Questo era il sistema antico: non era necessario essere sudditi di un sovrano religioso per poter accedere ad un percorso spirituale, ma vi erano sacerdoti ed ordini spirituali finalizzati a seguire e curare i meritevoli. Oggi questo sistema è stato interrotto: gli altari all’interno dei templi cristiani sono orizzontali, non verticali, e se per caso qualcuno comprendesse perchè viene innalzato il calice verso l’alto mentre si sente dire mistero della fede e lo dicesse al sacerdote, ci si sentirebbe tacciare di eresia e follia. Solamente ai sacerdoti che comprendono i significati dei simboli viene concesso di poter accedere ai misteri parodiati, rubati con violenza e conservati e tenuti dalla chiesa per il proprio potere, gli altri devono rimanere pecore che pascolano nei prati del Dominus, parola che significa Signore ma anche padrone ed il cristiano deve essere Servus (schiavo) del Dominus (padrone). Del resto è sempre stata ammessa l’origine della chiesa come religione degli schiavi. E’ chiaro che il problema di fondo è che l’uomo moderno è stato depauperato della possibilità di evolversi spiritualmente, necessitando le chiese cristiane di enormi greggi per il loro mantenimento. E’ normale che in chi si risveglia la scintilla della sapienza non è detto abbia sempre la possibilità di trovare il giusto punto di riferimento e quindi con facilità vengono a crearsi gruppi umani che, nel giusto principio della libertà di ricerca, a volte si innestano su terreni cultuali errati pensando di riscoprire vie tradizionali quando invece capitano in percorsi che traggono le loro origini dall’occultismo dell’800, prevalentemente frutto di èlite culturali da salotto tanto erudite ma prive dell’esperienza iniziatica del rito e che creano riti su basi intuitive che però difficilmente sono corrette. Quei pochi filoni di Tradizione, sopravvissuti in Italia nel corso dei secoli, sono come serpenti sacri scarnificati dagli artigli del felino cattolico, morenti ma che stringono tra i loro denti la sfera della coscienza, ma che non sempre i membri delle loro catene sono in grado di cogliere. Un articolo di Gianfranco Barbera, pubblicato in pietas n. 6 esprime al meglio lo sviluppo e la decadenza di determinate realtà. Ma si consideri che l’evoluzione spirituale dell’uomo consiste in un’ascesa, per giungere al tempio esistono diversi gradini, c’è chi rimane beato e pio nell’estasi dell’osservazione della bellezza artistica del tempio da fuori, c’è chi sale i gradini, c’è chi inciampa, c’è chi arriva alle porte e chi trova le chiavi per passere la Janua, la preziosa e pesante porta del tempio. Liberandosi dal cristianesimo e dal suo dominio culturale è normale che gli uomini vengano attratti in realtà relative al loro grado evolutivo: di volta in volta chi va avanti spiritualmente accede a nuove letture e nuovi gruppi. Con la creazione del Templum Minervae il nostro intento fu proprio quello di ridar vita al sistema templare e dunque possibilità d’evoluzione alle persone meritevoli. Voler abbattere o arginare gruppi con interessi diversi, con qualità tradizionali minori o maggiori delle nostre sarebbe un gesto d’arroganza, di pregiudizio, ma fondamentalmente sarebbe un’opposizione ad un fenomeno naturale di sviluppo spirituale umano.

  • La società tradizionale sono Autorità, Ordine, Giustizia e Gerarchia, che sono i principi che governano il Cielo luminoso, i movimenti dei Pianeti e degli Astri, mediante Amor che muove il Sole e le altre stelle, come insegna Dante. L’uomo, Stato in piccolo, deve essere governato, illuminato, dalla Mente, dall’Intelletto che è il Sole dell’uomo ed è la sfera dell’ordine giuridico-religioso che forma, cioè dà la forma all’ordine politico che è l’insieme organico degli uomini, tanto i vivi quanto i morti, aventi il medesimo Destino, cioè un mandato sacro che proviene dal Divino e che quegli uomini devono riconoscere ed attuare, come Ordine degli Dei. E’ possibile, in tale ottica, una dinamica d’azione non solo in senso religioso, ma anche politica?

Nella dimensione romana, così come in quella pitagorica, non esiste una distinzione tra politica e religione, tra fede e scienza. Il vir romanus doveva affrontare un cursus honorum di cariche politiche e religiose. L’uomo romano al termine del diciassettesimo anno d’età assumeva la toga virile e poteva così intraprendere la vita politica e religiosa: egli assumeva il diritto di voto e di candidatura e la possibilità di emanciparsi dalla famiglia d’origine e poter andare a vivere da solo divenendo, suo iure, pater familias. Egli era sacerdote di stesso e della famiglia che formava. Così poteva assegnare ad esempio alla moglie o alla prima figlia femmina la custodia del focolare domestico e ai membri del suo nucleo familiare i culti della sua gens d’origine. Nel pitagorismo l’ultimo grado dei matematici era quello dei politici: questo perchè la scuola pitagorica puntava alla formazione di una classe politica dirigente che fosse spiritualmente evoluta. Oggigiorno nessuno vieterebbe ad un gentile o ad un gruppo di tradizionalisti romani d’intraprendere un percorso politico: sarebbe una loro scelta ma tradizionalmente la si può accettare solamente quando l’individuo calca questa via per pietas, ossia per senso del dovere nei confronti della comunità e non per soddisfare i propri desideri di vanagloria. Non bisogna farsi soggiogare dal demone della politica poiché nella via della Tradizione gli istinti e le paure sono da abbattersi perchè l’uomo possa prendere coscienza di se stesso. Il percorso di Ulisse è quello del Vir che intraprende il cammino verso la sua patria d’origine: Penelope dalle bianche braccia, più bianche dell’avorio tagliatorappresenta l’anima purificata e le prove che affronta Odisseo consistono nell’abbattimento dei nostri mostri interiori per giungere infine ad Itaca ossia all’originale presa di coscienza di se.

  • Con altre associazioni partecipate a livello mondiale periodicamente al WCER ed in Italia intrattenete proficui rapporti di collaborazioni con realtà a voi simili. Ritiene che sia possibile un’interazione più ampia e profonda , al di là della semplice collaborazione culturale?

Tutto è possibile, basta volerlo e non desiderarlo, poiché il desiderio attenta costantemente alla volontà (come insegna Giuliano Kremmerz). Consideriamo ogni comunità come un individuo: due o più persone possono percorrere una strada o fare un viaggio assieme se proprio vogliono farlo; se non vogliono sono liberi di intraprendere ognuno la sua via per arrivare anche alla stessa meta. L’importante è non agire mai sulla volontà altrui, sarebbe una violazione del principio di libertà, un principio reale al quale ogni individuo deve aspirare per liberarsi dalle catene materiali ed eternizzarsi, ma l’intento di costrizione forzata deve sempre evitarsi per rispetto verso questa forza divina.

  • Infine, una domanda che non vuole essere irriverente e che poniamo a tutti: perché tante comunità separate che si rifanno al tradizionalismo romano? E’ una necessità o vi è un’esplosione, come in politica, di personalismo? La ringraziamo del tempo che ha dedicato ad Ereticamente.

Questa domanda è simpaticamente terribile. Per comprendere le cause dell’attuale situazione dei gruppi tradizionali oggi in Italia è necessario fare un’analisi storica asettica e “intellettualmente onesta”. E’ troppo facile accusare i gruppi della tradizione romana di oggi di non essere uniti e separati, ma del resto bisogna riconoscere che il politeismo è la Tradizione delle tante vie, perciò è giustissimo che esistano diverse realtà tradizionali, ognuna col suo approccio e non sta a nessuno né il diritto e né il potere di sindacare sull’operato altrui.

La Tradizione romana è stata perseguitata, è stata smantellata e distrutta pezzo dopo pezzo, perchè i templi non venissero ricostruiti sono stati maledetti e smontati blocco per blocco e le loro splendide colonne sono andate ad ornare, in maniera disarmonica, le tante chiese sorte dalle loro macerie. Dove sorgeva un tempio c’è sempre una chiesa. Affinchè i sacerdoti non trasmettessero il loro sapere sono stati perseguitati e trucidati e chiunque osasse ricostruire qualcosa veniva nuovamente perseguitato fino alla pena capitale. Abbiamo impiegato duemila anni per liberarci dal potere temporale di questa violenta struttura che è stata la chiesa cattolica. Oggi abbiamo la libertà di scrivere e praticare, seppur limitatamente. Infatti sono vietati dalla costituzione i culti osceni, dunque non esiste la libertà di praticare orgie dionisiache, ma esiste la libertà di girare film pornografici dove avvengono le peggiori cose. La legge vieta il sacrificio animale, ma è possibile comprare polli o altri animali di sane origini (purtroppo non sempre certificate) per poterli trucidare in casa e mangiarli, così come sono legalizzate mattanze industriali vergognose (che poi si sottolinei che la carne sacrificata veniva mangiata!). Dunque la libertà di culto non è stata ancora pienamente raggiunta, le stesse cose che venivano fatte all’interno di alcuni misteri in piena sacralità oggi sono vietate come azioni rituali ma sono legalizzate ed ammesse se vissute come esaltazione dei sensi in maniera profana e dissacratoria. Ciò dovrebbe far riflettere sull’inversione totale dei valori di quest’epoca. E’ normale, anzi è un miracolo che in un’era così buia, senza punti di riferimento palesi e pubblici, siano riuscite a svilupparsi in diversi luoghi, in differenti modi e tempi, comunità che ricercano e applicano la via della Tradizione. Ognuna di queste strutture si è formata in mezzo a mille difficoltà: non dimentichiamo che il problema di fondo della nostra via è che oggi è un percorso alternativo, e purtroppo a volte ci si avvicina a questi percorsi solamente per seguire una moda. Ancor peggio non si dimentichi che ciò che è alternativo e fuori dai ranghi tende sempre ad avvicinare disadattati sociali, persone con seri problemi psicologici che quando vengono poi rifiutate, alle stesso modo di Cilone con Pitagora, vanno in giro diffamando e calunniando queste realtà e se possono provano a distruggerle, così come fecero i seguaci di Cilone con la scuola Pitagorica, che dopo aver donato un impero ai Crotoniati, realizzando la prima Italia, venne bruciata; quelli che fino al giorno prima erano i santi maestri matematici vennero inseguiti per le strade e lapidati e questa storia facilmente si ripete con questo humus di gente che cerca di gravitare ed entrare all’interno delle associazioni di Tradizione Romana. E’ ovvio che in queste condizioni esista una sfiducia generale, perchè possa avviarsi un processo di serie collaborazioni tra le nostre realtà deve riuscire a svilupparsi una maturità profonda in tutti i gruppi e ovunque, purtroppo, queste cellule tumorali che provano ad avvicinarsi e creare distruzione, dovranno essere identificate ed asportate. Occorre estirpare col sangue e col fuoco la discordia dalla famiglia, dalla comunità e dalla città, questo precetto pitagorico deve valere anche per le realtà della tradizione in Italia, fin quando non raggiungeranno una determinata stabilità interna difficilmente riusciranno ad avviare un processo di collaborazione su punti d’intenti comuni.

Il problema di fondo dell’epoca contemporanea è la mancanza di valori etici e di uomini in grado di incarnarli: pochissimi emergono dalle folle di genti che popolano il nostro paese ma a quei pochi noi cercheremo di dare i mezzi necessari per lo sviluppo di se stessi e di una maturità collettiva maggiore. Tutti dovremo impegnarci per l’incarnazione delle virtù più alte, altrimenti sarà inutile il solo tentativo d’ incontro e cooperazione.

La Pietas è qui, salda, seria e pura nel suo intento a lavorare per la riscoperta, per la diffusione e valorizzazione della Tradizione classica, coadiuvata da persone di grande esperienza che sono colonne della Tradizione in Italia, aiutata nel suo operato da uomini ed autori che arricchiscono le sue pubblicazioni; i risultati che la Pietas sta ottenendo danno grande fiducia nel suo operato: negli ultimi anni l’associazione è cresciuta in maniera esponenziale nel numero dei suoi membri, nonostante la rigorosa selezione per ogni persona allontanata se ne sono avvicinate altre due e così si va avanti, al passo coi tempi. Non ci si cura dei pettegolezzi, delle voci e dei moralismi che si sentono dire intorno su chiunque: la Pietas avanza con una coscienza sana e sacra, pienamente limpida, matura ed esente da isterismi, pronta a collaborare e a fare il sacro (ossia sacrificarsi) per la Tradizione con chi abbia la sua stessa purezza d’intenti e si sa che al destino di risveglio del Sacro Spirito della Romanità è impossibile opporsi, ma è necessario impegnarsi alla creazione di sani punti di riferimento, altrimenti ancora una volta ci sarà un’avventura effimera della romanità, come è accaduto alle parodie storiche che ci hanno preceduto, come nella costituzione dello stato americano, nella rivoluzione francese, nel sacro romano impero germanico, nell’impero napoleonico etc., tutti fenomeni che assunsero per scimmiottamento i simboli di Roma ma non ne colsero lo Spirito reale.

fonte: http://www.ereticamente.net/2013/03/intervista-giuseppe-barbera-dellass.html