Mundus Patet 2767! S’è fatto bene a “conferenziare”?

mundus“Qualcuno” sostiene che “il Mundus Patet non sia giornata adatta ad un incontro culturale, perchè per i Romani in quel giorno non si dovesse fare nulla di rituale e importante”.   Tale definizione è sbagliata, faziosa,  perché nella realtà dei fatti l’apertura del Mundus è un gesto rituale, ed a quella apertura si compiono offerte di primizie, riti che lo stesso Romolo inaugurò. Quindi certi riti si fanno, anzi è obbligatorio compierli! Semmai nei giorni di Mundus era cosa buona evitare di dedicarsi a determinate opere per dare a quella giornata il giusto valore. Un po’ viene a mente il detto popolare “di Venere e di Marte né si sposa, né si parte né s’inizia l’arte”, difatti le proibizioni vigenti consistevano nel non attacar battaglia, non fare leva, non si convocava il popolo a votare, non si operava nella pubblica amministrazione (gli uffici restavano chiusi), non si salpava e né si contraeva matrimonio (Macr. Sat. 1, 16, 16). Il divieto a compiere atti pubblici in quei giorni era perchè i romani riflettessero sull’importanza misterica di tale festa. L’esecuzione di adeguai riti della giornata (apertura del mundus, formule ed offerte, relativa chiusura rituale ad un determinato orario) era un obbligo per i sacerdoti e magistrati adibiti ai compiti, talmente importanti che il resto delle attività cultuali restavano ferme per evitare che questi riti “occulti” venissero tralasciati. In questa giornata i sacerdoti compivano riti per aprire la “connessione” tra i “mondi”. Essendo il dies mundi Cereris era doveroso, da parte dei gentili, compiere determinati riti. Chi non conosce codesti riti non deve neppure provare ad emulare, o imitare o parodiare, perché essi sono di tale potenza che porterebbero sciagura a chi s’approcciasse a farli inconsciamente. Nella pratica romana è infatti fondamentale la “coscienza” di ciò che si compie ritualmente. Mai operi chi è nel dubbio, altrimenti la sua arroganza e presunzione, nei confronti del rito, saranno la sua rovina. Per realizzare un mundus e compiere i “dovuti” gesti rituali, bisogna avere a fondo intuito il significato misterico del rito ed averlo ricevuto legittimamente. L’incontrarsi, dopo 2000 anni, in un giorno di Mundus e compiere una conferenza sulla Romanità è una cosa corretta, perchè essa non è un’attività lavorativa ma un gesto che è finalizzato ad aprire quella fossa di contatto con un mondo occulto. Questo occulto mondo misterico della Tradizione, nel giusto tempo calendariale, deve tornare a congiungersi col mondo dei vivi praticanti. La conferenza dell’8 novembre 2014 e.v. è stato un gesto analogico al rito del Mundus Patet, giorno in cui “tutti i mondientrano in contatto, dunque giornata adattissima allo studio piuttosto che al far leva, o atti d’ufficio, o matrimoni, o guerre o riti pubblici. Ci si è mossi nel pieno rispetto dei precetti patrii: quell’8 novembre 2767 diversi gruppi di Tradizione si sono incontrati pacificamente senza sigillare il ben che minimo accordo, senza farsi o dichiararsi guerra, ma semplicemente ogni relatore ha esposto le sue idee sul “contatto” tra dimensione umana e dimensioni divine. Nulla di più appropriato! Gli stessi organizzatori dell’evento (la redazione di ereticamente.net) non avevano ragionato su tutto ciò, hanno semplicemente agito e Pietas ha aderito volentieri ad un atto così profondo che solo i Numi potevano esserne stati ideatori, utilizzando, come al loro solito, gli uomini.  Chi è rimasto a casa a leggere un libro sui miti, magari anche fumando un buon sigaro e sorseggiando un buon vino, è stato pio. Chi è venuto alla conferenza, per avere informazioni che lo aiutassero a riflettere sui misteri della romanità, è stato pio. Chi, in malafede, l’8 novembre 2014 avesse fatto un giro di telefonate per raccogliere accoliti alla detrazione di tale evento, avrebbe violato la prescrizione dei padri a “non far leva”. Chi, quell’8 novembre, avesse mosso parole polemiche per far guerra a qualsivoglia gruppo, avrebbe violato le norme dei padri.
Dunque chi sostiene che la prescrizione dei padri fosse di non far nulla, ma allo stesso tempo solleva polemiche, interpreta male e viola una chiarissima prescrizione pontificale espressa nella Kalendarium.
Chi non ha compreso il significato misterico del rito del Mundus non può riconoscere quali siano le azioni analogicamente più corrette in riferimento a quel rito; chi invece ha inteso l’importantissimo arcano, chpietas 11 rivistee si cela dietro il gesto di tale rito, bene comprende che solo i Numi della Tradizione Patria potevano ispirare gli uomini ad incontrarsi in un giorno di Mundus per favorire l’incontro di forze provenienti dai diversi mondi. E quest’azione di conciliazione ha mondato le impurità di ogni cattivo pensiero reciproco. Ed è proprio in un giorno di Mundus che tante cose, che erano dubbie ed occulte, son venute alla Le vie al SacroLuce. Ringraziamo tutti i relatori e gruppi che hanno preso parte all’evento. Per gli studiosi curiosi di conoscere quale “parte di sapere” sia venuta alla luce nel mundus dell’8 novembre MMDCCLXVII sono disponibili gli Atti del Convegno “Le Vie al Sacro della Tradizione Classica”. Per ordinarli scrivere a info@tradizioneromana.org

“De Mysteriis Romanorum” Il presidente alla conferenza “Arcana Urbis”

L’archeologo e presidente ATP Giuseppe Barbera interverrà alla conferenza “Arcana Urbis” dell’Associazione Tradizionale Pietas, la quale si terrà domenica 24 alle ore 16.30 in via Sallustiana 27/A a Roma (presso metro A fermata Barberini).
L’evento è organizzato in stretta collaborazione col sito web ereticamente.net
L’intervento del presidente è un serio contributo sugli aspetti misterici del mondo Romano, come già lascia intuire il titolo “De Mysteriis Romanorum“.
Seguiranno gli interventi di altri eminenti studiosi di romanità.
Vi aspettiamo numerosi,
lo staff ATP

Per maggiori info: http://www.eventi.tradizioneromana.org/#home
http://www.tradizioneromana.org/

 

Janus

Giano su conioLa Tradizione Romana vuole che Giano sia una delle più arcaiche divinità.
Alla sua figura sono legate moltissime leggende che ne fanno un protettore speciale di Roma e dei suoi abitanti. Il suo nome è legato alla funzione: custodiva le porte di casa (Ianua) e i passaggi (Iani), portava in mano le chiavi, come un portinaio (ianitor) e le sue due facce sono rivolte verso l’entrata e verso l’uscita.
A lui è dedicato il primo mese dell’anno, Ianuarius, e gli si attribuiva un culto speciale in un tempio le cui porte erano sempre aperte in caso di guerra e sempre chiuse in tempo di pace.
Si diceva che Giano avesse sposato la ninfa Giuturna e che avesse avuto da lei un figlio, Fons o Fontus, il dio delle sorgenti. (DIZIONARIO DEI MITI – Gabriella D’Anna. ed. Newton.).
Varrone tramanda che Giano è il dio degli initia e Giove il dio dei summa. Infatti l’inizio del mese è sacro al bifronte dio, che guarda avanti e dietro anche nel tempo, mentre il plenilunio, la metà del mese, è sacro a Giove Ottimo e Massimo.
La leggenda vuole che Giano avesse un regno nel Lazio con sede sul colle Gianicolo. Qunado Saturno, di fuga dal figlio, giunse in queste terre, Giano gli cedette parte del suo regno, che divenne Saturnia Tellus, poi noto come Latium dal verbo latino latere: nascondere.
Il latente Saturno insegnò i misteri dell’agricoltura agli abitanti di questi luoghi e da qui nacque poi il regno romano. Ovidio dice di Giano: Giano bifronte, inizio dell’anno che tacito scorre, tu che solo fra gli déi puoi vedere il tuo dorso, sii propizio ai duci per opera dei quali la fertile terra gode di serena pace, e così il mare; sii propizio ai senatori e al popolo di Quirino e dischiudi con un solo tuo cenno gli splendidi templi. Sorge un giorno felice: accoglietelo con animi e discorsi appropriati: in questo giorno lieto si dicano liete cose. all’orecchio non giungano liti, stiano lontane le folli contese, e tu maligna tura rinvia la tua opera. […] Ma quale divinità dirò che tu sei, o Giano bifronte? […] Allora il sacro Giano, mirabile nel duplice aspetto, si offrì d’improvviso al mio sguardo con i suoi due volti. […] E quello, tenendo un bastone nella destra ed una chiave nella sinistra, con la bocca anteriore mi disse queste parole: “Deposto il timore, apprendi, operoso poeta dei giorni, ciò che desideri sapere e tieni a mente quanto dico. Mi chiamavano Caos gli antichi, – ch’io sono antica divinità -; vedi quali remoti eventi io stia celebrando. […] Quanto vedi ovunque, il cielo, il mare, le nubi, le terre, tutto si chiude e s’apre per mia mano. Presso di me è la custodia del vasto universo, il diritto di volgerne i cardini è tutto in mio potere. Quando mi piace trarre dalla quiete del tempio la Pace, ella cammina libera per vie interrotte. Il mondo intero sarebbe lordato dal mortifero sangue se robuste sbarre non tenessero rinchiuse le guerre; insieme con le miti Ore custodisco le porte del cielo, e il fatto che Giove stesso ne esca e rientri è nelle mie mansioni. Perciò sono chiamato Giano; […] Ogni porta di qua e di là ha due facciate: di esse, l’una guarda la gente, l’altra gli déi Lari” […] (Ovidio, Fasti).
A volte Giano è rappresentato con 2 chiavi: una aurea ed una argentea;gli autori latini dicono che una fosse quella delle porte del cielo, l’altra delle porte del regno degli inferi. Altre volte (come nel caso di Ovidio) ad una delle due chiavi è sostituito un bastone. Ogni rito si apriva a Giano e il suo tempio (dice Dumèzil) era contenitore di qualcosa di terribile, come il vaso di Pandora; in qest’ultimo vi erano i mali, nel tempio di Giano pare vi fosse la potenza distruttrice e caotica della guerra. Difatti le porte di questo tempio venivano chiuse solamente in tempo di pace.

In effetti Giano è un dio eccelso, è il caos ma anche il principio dell’ordine, perchè il detentore delle chiavi, egli è i quattro elementi mescolati tutt’insieme, il serpente che si morde la coda, l’orrendo bifronte, che però con un volto guarda al passato e coll’altro al futuro, il dio del passaggio da se (il caos) all’ordine. Un caos che contiene in se il principio d’ordine, praticamente ognuno di noi è un Giano, la difficoltà è prenderne coscienza…
Il primo giorno dell’anno, ogni primo del mese e ogni novilunio sono sacri a lui. L’apertura dei riti, dei sacrifici e delle offerte è sotto la sua tutela.
Per qualunque azione sacra s’invoca prima Giano, il signore delle porte.
Il Gianicolo prende il nome dalla sede del suo regno ed alle pendici del Gianicolo, una volta offuscato il culto degli antichi dei, regnerà Pietro, anch’egli detentore delle chiavi. Il tempo caotico e ordinato sono in lui: con un volto guarda il caos, se stesso, coll’altro l’ordine, manifestazione di se. Il Caos è il Genius Janus, l’ordine è il Numen Janus che si stabilizza poi in Juppiter, il padre delle leggi per il mantenimento dell’ordine….
David Ulansey, nel suo libro “I misteri di Mitra” ed. Mediterranee paragona Aion Zevian alla Gorgone che sconfigge Perseo. La Gorgone rappresenta forze istintive che possono considerarsi anche cosmiche e difatti in alcune iconografie è rappresentata al centro dello zodiaco.
Aion viene sconfitto da Mitra che assume i suoi poteri e diviene così divinità cosmica.
Mettendo a confronto Aion Zevian e Giano possiamo notare che:
Aion Zevian ha le ali e dunque è una divinità del cielo, ha la chiave per far ascendere e scendere le anime e ha un aspetto mostruoso, per ricalcare la sua origine arcaica (teogonicamente parlando).
Dunque l’idea di una divinità arcaica che gestisce le forze cosmiche è fortemente presente nelle tradizioni indoeuropee. I caratteri di Aion sono un pò differenti da quelli di Giano se, come dice Ulansey, rappresentano anche delle forze da combattere. Giano in realtà combatte da se il caos in lui portando l’ordine attraverso l’attimo del passaggio.
Se si ritiene errato l’accostamanto di Aion Zevian alla Gorgone allora lo si può avvicinare a Giano, ma non abbiamo elementi che ci permettano di caratterizzarlo come dio degli initia: potremmo parlare altrimenti di una tradizione comune anche in questo senso.
Giano è un ordinatore anteriore a tutto ciò: egli è il Caos col principio dell’ordine in se, Mitra in confronto è solo ordinatore.
Carandini in “L’origine di Roma, Dei Lari e Uomini all’alba di una civiltà” mostra che Opi (Ops in latino) è la paredra di Saturno nella religione romana e latina arcaica. In qualunque caso tutte le divinità femminili rappresentano una manifestazione specifica del ricettivo/passivo, difatti Saturno è dio della terra e dell’agricoltura (oltre che di tutte le altre cose attribuitegli) e Ops la dea della dispensa, ovvero colei che passivamente conserva ciò che attivamente ha creato Saturno colla sua operatività agricola.
Importanti le divinità con tre volti, tra cui Ecate e Giano. Difatti Giano oltre ad essere bifronte è ricordato, da alcuni autori antichi, trifronte ed il suo vero volto è occultato tra i due visibili e si manifesta soltanto a pochi. Vi è una spiegazione misterica a ciò ed ha a che fare coi “passaggi”… colla visione del “mondo occulto”.
E’ importante quel volto perchè sta nel mezzo, nel punto di equilibrio del tutto, tra il Disordine e l’Ordine, tra il Passato e il Futuro, tra una vita e l’altra.
Sul Giano quadrifronte si può dare certezza che esista, poichè è il dio che guarda verso i quattro punti cardinali. Del resto oltre alle porte bifronti, a Giano sono consacrate anche quelle quadrifronti.
Giano è Caos, è atomo primordiale che esplode e si spande, è il passaggio da Caos a ordine e viceversa. Se è reale la teoria del “respiro cosmico” tutto tornerà in Giano e sarà un ciclo eterno…
Ecate è Luna nera e caotica, ma in un’altra faccia è luna crescente e generante e in un’altra ancora è luna piena (per alcuni la terza faccia è la fase calante: la vecchia). Tre fasi per un altro ciclo, più piccolo ma a modo suo anche questo “eterno” (relativamente alla vita del nostro sistema solare).
parallelamente è chiaro che Mithra sia un dio-modello per l’iniziato, che deve distruggere le forze caotiche in se per ottenere da esse l’ordine.
Si consideri il Perses come Perseo, modello mitico che l’iniziato mitraico deve incarnare arrivato ad un certo grado di evoluzione spirituale. Per la cronaca Ulansey sostiene che il nome dell’eroe Perseo significhi Persiano e pensa di poter ritrovare nell’antica Persia l’origine del culto di Mithra, così come lo conobbero i romani, o per lo meno il luogo di passaggio prima di arrivare in Cilicia, da dove poi si diffuse per opera dei legionari di Pompeo.
Già in alcune religioni sono presenti divinità originarie che presiedono al passaggio dal disordine all’ordine, come in Grecia lo stesso Caos.
Per la sua funzione ordinatrice Giano ha in se qualcosa di solare (o viceversa il Sole ha in se qualcosa di Gianuale?), tanto che in molte raffigurazioni antiche sopra il volto di Giano è scolpito un piccolo Sole. Nel mitraismo ritroviamo la funzione teologica dell’attraversamento delle porte, che di per se sono dei “Giani”, dunque in un modo o nell’altro Giano e l’attività solare di riordino dei quattro elementi vivono in una connessione fondamentale.

Lezione per approfondire la figura di Giano
https://youtu.be/l3huVzgK3Xchttps://www.youtube.com/watch?v=l3huVzgK3Xc

Iscrizione Tempio di Delphi

Il tempio di Apollo a Delphi, faro di luce nel mondo, distrutto purtroppo da coloro i quali erano contrari alla luce, recitava con un’iscrizione sul suo frontone Γνῶθι σεαυτόν, ossia conosci te stesso, nosce te ipsum. In questa breve frase è celata la chiave per la realizzazione dell’essere umano.

Europa

Rubens Ratto d'EuropaSecondo il mito greco Europa era la figlia di Agenore e di Telefassa; a volte viene ricordata come figlia di Fenice. Il sommo Zeus, che viveva l’amore in libertà al di la delle catene materiali, dunque in un carattere divino proprio del suo rango, se ne innamorò quando la vide giocare a Tiro colle sue amiche. Il Dio si avvicinò di nascosto trasformandosi in un toro dal candore abbagliante con le corna lunate. Lucente nell’aspetto come nel cuore Zeus le si avvicinò in disparte. Europa dapprima fu intimorita dalla vista di una così possente bestia, ma come il suo sguardo cedette un po’ di maggior attenzione, la bella fanciulla comprese di avere di fronte a se qualcosa di grande e di inesplicabile, vedeva nel volto del toro non il timore per l’infinita grandezza dell’universo, ma una sorta di gioia e di pace interiore, un amore puro e sublime che l’avvicinava sempre più al candido animale. Lo accarezzò e lo vide mansueto e pensò di potersi fidare e salì a cavalcioni sulla sua groppa, dove si sentiva unica al mondo, sicura e certa di sé come solo poteva essere nell’angolo più profondo della sua anima. All’improvviso il toro si lanciò verso il mare e, nonostante le grida della ragazza, cavalcò sulle onde fino all’isola di Creta. Lì Zeus si unì con Europa sotto i platani, che per privilegio d’esser stati testimoni di un così intenso amore, non perdono mai le foglie.

E così come la fanciulla anche il nostro continente ha sempre amato senza timore ciò che parea grande e possente, luminoso e affascinante. L’amore per il vasto mare vide naviganti, come greci o vichinghi, sfidare l’ignoto, argonauti alla ricerca di velli d’oro, giovani eroi a fondare città per andare a conoscere il mondo e l’universo tutto e per portare con sé ciò che avevano imparato. Come lo Zeus taurino affrontarono le onde del mare, amarono con purezza le loro terre, la conoscenza ed ebbero mogli e figli.

La giovane Europa con gli occhi dei celti osservò il cielo e costruì complessi centri astronomici, come nell’amore di quella giovine omonima fanciulla, furono affascinati da ciò che è grande e splendente. E solo questo amore puro, che può sembrar quasi bestiale dalla descrizione del mito, ma in realtà si tratta di un sentimento immenso per qualcosa di enorme in natura, nacque la ricerca del sapere, la filosofia dei greci, e i valori che furono le fondamenta delle più grandi civiltà europee, che sempre hanno cercato di fondersi, susseguendosi sotto vari imperi, per giungere all’Europa di oggi.

E quell’amore della giovine fanciulla per Zeus è un esempio di amore pio, perché soltanto amando si può far sì che l’ignoto diventi conoscenza, e questo è il sentimento doveroso che hanno seguito i più degli uomini pii della nostra antica Europa, matrice del nostro sapere.

GIUSEPPE BARBERA

De Superbia

di Elio Ermete
estratto da Pietas 1

Il cavallo di Troia è simbolo di un'azione necessaria all'abbattimento dei propri limiti, rappresentati dalle mura della città di Troia, la quale deve cadere affinchè in futuro Romolo fondi la Roma quadrata
Il cavallo di Troia è simbolo di un’azione necessaria all’abbattimento dei propri limiti, rappresentati dalle mura della città di Troia, la quale deve cadere affinchè in futuro Romolo fondi la Roma quadrata

Nel mondo latino la parola superbia indica il sentimento dell’orgoglio, distinto da quello della fierezza che si traduce decus: ingens suis decus attulit (è motivo d’orgoglio per la sua famiglia). Il termine inflatus denota invece un soggetto tronfio di se stesso, gonfiato dalla propria superbia, come se un demonio gli avesse soffiato in corpo il sentimento dell’orgoglio.

Nella cultura romana l’orgoglio in senso sano è la fierezza, vocabolo che preserva il tema dell’ambito selvatico, la selva, il disordine remio, difatti feritas significa anche selvatichezza, pertanto anche questo è considerato un sentimento negativo, tranne quando è generosus animus.

Nella tradizione classica i soggetti orgogliosi vengono puniti dal Padre degli dei od anche dai suoi figli se direttamente chiamati in causa; nel mito i soggetti orgogliosi non trovano mai la via della realizzazione.

Anchise, il padre di Enea, ottenne l’amore di Venere, ma egli si vantò di aver ottenuto tale dono divino, vanto finalizzato ad accrescere il suo orgoglio di fronte ai suoi simili, ma che gli costò la perdita della vista e dei favori della dea.

Achille è l’orgoglio assoluto di se stessi e mai riuscirà ad entrare nella città di Troia per espugnarla, ovvero il soggetto orgoglioso non riuscirà mai ad abbattere le costruzioni mentali che ha recepito e realizzato in sé, passo necessario (appunto rappresentato dalla guerra di Troia) per poter intraprendere il viaggio di ritorno alla patria d’origine dell’anima. Per quanto l’eroe figlio di Peleo ottenga riconoscimento ed onori dagli uomini, mai realizzerà il primo passo dell’opera alchemica[1]. Egli ebbe la scelta fin dall’inizio: o partire per i lidi orientali per veder soddisfatto il proprio orgoglio e morire o vivere in eterno nella sua dimora.

Agamennone per il suo forte orgoglio costruisce un altro sé, un elemento estraneo a lui stesso (Egisto) che s’impossessa della sua anima (rappresentata dalla moglie Clitennestra) e che poi lo uccide.

Niobe usò i suoi figli per soddisfare il suo orgoglio, vantandosi di averne generati più di Latona volle farsi credere superiore alla madre di Apollo e Diana, ma ciò le costò la vita.

Aracne era bravissima nell’arte della tessitura, che le fu insegnata dalla dea Atena, ma il suo orgoglio le fece credere di poter essere superiore ad una dea e sfidò la sua maestra in una gara di tessitura. Dopo averla sconfitta la Glaucopide dea trasformò la presuntuosa in  ragno.

Il sileno Marsia[2], orgoglioso delle melodie che riusciva a suonare con il flauto di Minerva sfidò lo stesso Apollo ad eguagliarlo con la lira: il vinto sarebbe stato alla mercé del vincitore; sconfitto fu fatto scuoiare vivo dal dio solare.

L’orgoglio è una crescita alternativa  e deviata del sé spirituale, che porta ai peggiori sentimenti che l’animo umano possa manifestare: pregiudizio, vanagloria, superbia, sopravvalutazione di se stessi fino alla propria distruzione, come il mito stesso testimonia.

La nascita di questo elemento avviene per una deviazione della rota solare causata da una sua disfunzione, difatti l’orgoglio è l’espressione dei valori solari capovolti.

Il soggetto solare è disponibile e silenzioso, tanto che il dies silentii è alla vigilia della nascita del Sole, sa ascoltare, valuta con equilibrio le ipotesi che gli vengono proposte e trova la giusta collocazione ad ogni pianeta perché possa ruotare, chi vicino, chi lontano, attorno di lui. L’uomo orgoglioso si considera superiore e si concede con difficoltà, parla per dare vanto a se stesso e non ascolta i giudizi degli altri ritenendo le persone in un gradino inferiore al suo, vuole forzare la funzione degli individui che gli stanno attorno, convinto di essere in grado di scegliere per loro, fino a perderli ed allontanarli da sé.

La larva dell’orgoglio è generata da una iperattività del plesso solare, per gli yogi sull’ombellico, e può nascere anche per una erronea alimentazione; coscienti di ciò i sacerdoti antichi eseguivano digiuni regolari scanditi dall’anno solare per mantenere il proprio metabolismo in armonia coll’astro celeste, evitando così di alimentarsi di sentimenti sbagliati ed infausti. Una volta generata suddetta larva pesante, dai Romani chiamata Lemure[3], essa si accresce intelligentemente agendo sulle funzioni spirituali dell’individuo: infatti alla spinta operativa del rito, che dovrebbe far ascendere gli elementi puri fino alla nascita della Minerva dal capo, s’insinua detto orgoglio sostituente i puri sentimenti animici, da ciò si avrà l’ascesa di un Marsia invece che di un Quirino.

Per far ascendere la forza animica ripulita dall’azione solare/spirituale che ha impresso della sua luce l’anima/luna necessita un’azione marziale, quando però questa spinta è sporcata si ha il Marsia, e seppure entrano in sintonia tutte e sette le note planetarie grazie all’azione dell’arte (questa rappresentata dal flauto di Minerva, nel quale si soffia), essendo sporca la matrice ascensionale (quella che gli Indù chiamano kundalini e noi Romani Iuno) invece di generarsi il fuoco interno delle rigenerazione si sentirà un bruciore sulla pelle simboleggiato nel mito dallo scuoiamento. Ma l’orgoglio stesso farà credere al praticante di essere nel giusto ed egli continuerà fino alla sua rovina poiché in realtà starà svolgendo l’azione di prevaricazione delle mura di Remo, gesto che garantisce la sua morte.

Il soggetto solare invece incarna l’azione romulea e non permette al Remo di prevaricare le mura entrando nel Palatium/corpo, compiendo un gesto di tutela della propria Urbs.

Il sentimento dell’orgoglio, essendo faunico e remio, è un impulso disordinato e caotico, manifestazione della crescita del Cacodaimon a discapito dell’Agatodaimon, è quindi un elemento distruttore. La volontà di imporsi sugli altri porta solamente al dissolvimento degli ambienti umani, così il Cacodaimon riempirà il cuore dell’orgoglioso di disprezzo per gli altri, non comprendendo l’uomo che egli è fautore del proprio destino e che le scelte fatali che sta affrontando lo porteranno ad un morboso attaccamento alla materia che sempre più lo allontanerà dalla dimensione della luce solare. Schiere di demonii risponderanno alle sue chiamate e crederà di essere potente e sulla giusta via, non comprendendo che per lui si staranno aprendo le porte di un abisso di materia scura, il guadagno di denaro e l’avanzamento di carriera non saranno in questo caso un prodotto gioviano, bensì il risultato della deviazione solare in ricchezza saturnia, solitudine che cresce quotidianamente perché in nessun rapporto umano troverà più la vera scintilla erotica, di Amor puro, che tiene uniti amici, familiari e i nostri amori

Il gentile che abbandona la gentilezza, o che usa questa ipocritamente, non comprenderà mai nessuno dei misteri luminosi e trascorrerà la sua vita in gioie effimere e noie preludio di un cammino di buio solitario.

Alcuni autori moderni considerano solare l’atteggiamento d’imposizione della propria volontà sugli altri, pensano che la dignitas consista nel comportarsi come esseri superiori sugli altri, ma queste sono vanaglorie, portatrici di squilibri solari, matrici di lemuri che se prendono il sopravvento sull’individuo lo condannano ad un lungo buio mentale, che lo porterà al fanatismo ed alla superstizione, lo stesso sentimento che ha spinto molti fanatici religiosi autori dei peggiori eccidi della storia, come il vescovo cristiano Teofilo, che spinse Teodosio a far vietare ogni culto pagano e che aizzò intere folle di fedeli contro i templi, così come il vescovo Cirillo ordinò ad un gruppo di uomini di uccidere Ippazia, la direttrice della Schola Pitagorica Alessandrina, i quali la attesero mentre rientrava nella sua dimora per prenderla, trascinarla alla chiesa di Cesario, strapparle le vesti, farla a pezzi con dei cocci e cavarle gli occhi mentre era ancora viva[4]. Quegli uomini che cercavano la luce non si resero conto che per il loro orgoglio, per il pregiudizio e per la presunzione uccisero l’ultimo astro luminoso di Alessandria; qualcosa che invece avrebbero amato se fossero stati gentili nell’animo. Sta all’uomo la scelta. O una vita romulea, costruttiva per se e per gli altri, o la distruzione remia. Il mito lo testimonia, ma la maledizione degli uomini è che essi dimenticano.

[1] S’intende qui il processo di trasmutazione della propria interiorità

[2] Vedremo più avanti perché Marsia è una manifestazione marziale silvestre, dunque faunica e deviata, accrescitrice dell’orgoglio.

[3] Per i Romani i lemuri erano le larve sprigionatesi da Remo, esse venivano credute, in alcuni casi, ereditate dai padri, ciò perché la comunione quotidiana in famiglia porta anche alla trasmissione dei sentimenti dal soggetto capo della catena domestica a tutti gli anelli componenti. Per tali motivi un capo famiglia deve essere sempre un esempio di rettitudine. Per il bene dei suoi stessi congiunti.

[4] Damascio cit. 76, 24-81.

CALABRIA PAGANA – DAL POLITEISMO AL MONOTEISMO

 

Processi di conservazione culturale

estratto da “Il Domani di Calabria” del 21/09/2009

Colonna superstite del tempio di Hera Lacinia a Crotone
Colonna superstite del tempio di Hera Lacinia a Crotone

Nella tarda antichità si svolse una lotta di politica religiosa che coinvolse prima tutto il bacino mediterraneo, poi l’Europa. Si tratta del passaggio dai culti politeisti al culto monoteistico. Giambattista Vico diceva che la storia si articolasse in corsi e ricorsi. Così quel che era avvenuto mille anni prima in Mesopotamia, in Persia, e duemila anni prima in Egitto, si ripeté nell’Impero Romano: al passaggio dai regimi politicamente policratici a  quelli monarchici scompariva un antico politeismo sostituito da un nuovo monoteismo.

I Tanti dèi babilonesi furono sostituiti dal monoteismo del dio Marduk, il quale sottomise tutti gli altri, così come i sovrani di Ur avevano sottomesso i loro antagonisti politici. Il potere dei diversi centri cultuali veniva accentrato in un’unica figura sacrale, quella del sovrano, cosicché tutti i cleri rispondevano ad un solo centro politico-religioso, concentrando così rispetto, ricchezze templari e ideologie filosofico-religiose su di un unico uomo il cui potere assoluto era ufficialmente riconosciuto da tutti. Medesima cosa accadeva nell’Impero Persiano sin dalla metà del VII secolo: Zaratustra riformava il culto dei Magi nel monoteismo di Ahura Mazda, dio del bene oppositore del dio del male Arimane; si tratterebbe in effetti di un dualismo, ma un unico dio rappresentava tutti i valori di bene, amore, prosperità e benessere, gli stessi valori che incarnava il Re dei Re, l’imperatore Persiano. Ahura Mazda governava sulle schiere del Bene, l’esercito di Asha, così come Dario ed i suoi eredi governavano su più di cento popoli, partecipi dell’esercito Persiano. Nella religione si faceva riflettere il piano politico: se tanti dei riconoscevano un solo dio sovrano, tanti uomini potevano riconoscere un re assoluto. E così come gli uomini erano servi dell’imperatore, i sacerdoti erano schiavi del dio.

Solamente nell’antico Egitto il Faraone non riusciva ad avere il controllo dei cleri locali: la religione era politeista e ogni santuario era un centro di potere spirituale, politico ed economico. Ciò non fu gradito al sovrano Akenamon, il quale decise di creare un monoteismo per bloccare lo strapotere crescente del clero ammonio e di altri santuari nilotici, creò così un monoteismo incentrato su Aton, dio del Sole, e cambiò il suo nome in Akenaton (servo di Aton), esponendo pubblicamente il suo ideale politico-religioso. Il nuovo centro decretato a capitale di un nuovo regno fu Amarna (da qui il nome di rivoluzione amarniana per il tentato enoteismo di Aton), ma i templi dei tanti dei non acconsentirono ad essere servitori assoluti di un unico sovrano, si ribellarono ed attraverso congiure di palazzo uccisero Akenaton, colui che minacciava i loro poteri provinciali. Il giovane figlio, Tutankaton fu costretto a cangiare il suo nome in Tutankamon per mostrare di essere favorevole allo strapotere del culto ammonio, ma all’età di 18 anni fu fatto morire misteriosamente.

heliosQuando l’impero romano era dilaniato da continue guerre intestine ed incursioni barbariche Aureliano propose il culto del Sole Invitto dicendo che uno è il dio sovrano ed uno solo deve essere l’imperatore, abolendo temporaneamente la tetrarchia. Costantino scelse un culto monoteistico per lo stato, affinché il modello dell’unità potesse irradiarsi dalla religione alla politica. Ciò non fu subito accettato da un impero fortemente legato alle tradizioni e la necessità spinse i suoi successori, come Teodosio II, ad imporre la loro visione con la forza.

Appena il potere politico centrale affrontasse un momento di debolezza riaffioravano, qua e la, i culti politeisti all’interno dell’impero ed alcuni imperatori, come Flavio Claudio Giuliano, pensarono che la convivenza delle diverse religioni non dovesse necessariamente creare frammentazioni. I loro successori non la pensarono alla medesima maniera ed ordinarono la distruzione delle biblioteche, ma ciò non fermava il pensiero libero, e così decretarono la distruzione delle librerie private e la condanna a morte per chi conservasse libri diversi dal nuovo canone. Ad Alessandria d’Egitto la biblioteca più grande del mondo venne data al fuco su istigazione di Teofilo, ostile alla cosiddetta “saggezza pagana”. In un sol giorno l’umanità vide bruciare secoli di sapere. Correva l’anno 491 d.C.

Ma la sapienza è un’esperienza e non si apprende dai libri quanto dalla vita quotidiana. Nei villaggi rurali, i Pagi, era cosa rara incontrare qualcuno che sapesse leggere e scrivere, eppure ognuno rimembrava gli insegnamenti dei padri e conosceva  i momenti astronomici alla perfezione, sfruttava al meglio il periodo della semina e seguiva la luna per sapere quando raccogliere i prodotti agricoli; nessuno aveva mai letto trattati filosofici ma conoscevano la logica dell’analogia, effettuavano riti per propiziare il raccolto  e l’uccisione del maiale era una festa che faceva invidia ai più grandi santuari del mondo antico. Superstizioni, diciamo noi oggi, ma a quelle superstizioni dovette piegarsi la nuova religione e seppur acculturava il popolo col nuovo evangelo s’inculturava delle tradizioni dei luoghi. La Calabria, più di ogni altra regione italiana, ha mantenuto quasi intatti i suoi antichi riti, dalle grandi città ai piccoli paesi. A Crotone annualmente si svolge una processione a Capocolonna, ieri dedicata ad Hera, oggi alla Madonna. E’ sempre il modello della madre, lo si chiami in un modo o nell’altro, ed è sempre lo stesso rito, colla sola aggiunta dei fuochi d’artificio in età moderna. Nella Sila piccola l’uccisione del maiale è quasi un rituale ed alcune anziane signore giocano a leggere il futuro nelle viscere dell’animale ucciso, cercano di vedere il sesso dei nascituri dal rene dell’animale, sono inconsce trasmissione di un’arte per molti persa, ma qui ancora viva: l’aruspicina.

A Gagliano, in provincia di Catanzaro, alcune signore raccontano di accompagnare i morti nell’aldilà, sognando giorni prima quando questi scompariranno: medesime convinzioni di quegli esuli Traci che si facevano chiamare “mistoi”: gli iniziati ai culti orfici. Per non parlare delle ricette delle feste: una su tre ha il sapore dell’antico. In quei luoghi dove nasceva la prima Italia ancora oggi può trovarsi il retaggio della grecità in tutti i suoi aspetti.

In tutto il bel paese un richiamo verso l’antico è in atto: associazioni di studi storico-religiosi, di filosofia antica ecc. si sviluppano qua e là, ma spetta alla nostra regione il primato del maggior numero di associazioni specializzate in questo settore: studiosi di pitagorismo, di tradizioni classiche e delle società antiche da noi abbondano e seppur i nostri poli universitari non sono noti come la Bocconi o La Sapienza  vantano il merito di aver condotto convegni internazionali, come quello sul Pitagorismo tenutosi nel 2006 al Consorzio universitario di Crotone, con docenti provenienti da tutta Europa.

Può sembrare strano ma ancora oggi l’Italia è pagana nella sua essenza religiosa, nonostante la forma sia quella cristiana. Ai tanti dei si sono sostituiti i molti santi e dove prima s’ergevano templi spesso ora sorgono chiese. I luoghi fisici del sacro sono così sopravvissuti e si sono conservati. Gli usi ancor più: come nei Saturnalia di duemila anni fa (feste che andavano dal 17 al 24 dicembre) facciamo cenoni e giochiamo a carte. Gli antichi consideravano caotico il periodo prossimo al solstizio, poiché in questi giorni il buio della notte predomina sulla corta giornata, pertanto consideravano lecito far ciò che la legge nel resto dell’anno vietava, come il gioco d’azzardo. Cosa faceva il romano del I sec. a.C. il 24 dicembre? Una bella tavolata in famiglia ed una giocata a dadi. Aveva ragione Vico: corsi e ricorsi storici. E se prima si festeggiava la nascita del Sole al 25, per il prolungarsi della giornata, oggi si festeggia quella del Salvatore: il Cristo.

Molti gruppi di studiosi affrontano studi scientifici per trovare le radici delle nostre usanze, perché solo guardando indietro possiamo comprenderci e potremo andare avanti, così ad esempio l’Associazione Tradizionale Pietas, nata a Crotone e poi sviluppatasi tra l’Italia e la Grecia, conduce ricerche sul mondo classico proponendo poi al pubblico i suoi risultati in conferenze, convegni e quaderni di studio, dall’ambito universitario a quello cittadino, cercando inoltre il coinvolgimento di tutti considerando il patrimonio culturale un bene universale così anche l’associazione “Le Crotoniadi” che propone eventi ed attività culturali di ricostruzione storica. Medesima cosa fanno altre realtà culturali nel resto della penisola. Vi sono anche associazioni che cercano di recuperare l’antica religiosità. In Grecia movimenti di studio sulla cultura classica hanno riacceso negli animi il desiderio di vivere l’antica religione, ed oggi gli Elleni sono la quarta fede nel loro paese. Ma non ha tanto importanza la forma di ciò che si fa o di ciò in cui si crede, quanto l’essenza delle proprie convinzioni, e quando queste sono intrise di sani valori ben vengano, perché le forme e le religioni cambiano nel tempo, ma l’etica del rispetto, della lealtà, dell’amicizia, dell’amore e della tolleranza va al di là delle bandiere ed è eterna, poiché non crollano con le loro civiltà e con le loro religioni, ma vivono per sempre.

Ed è su questi valori che l’Associazione Tradizionale Pietas ha improntato il suo lavoro: lo studio della religione e della società classica non deve essere il nascere di nuove forme di fanatismo ed incomprensioni, ma la ricerca di un’essenza che ha attraversato i millenni e che chissà fin quando risale nel tempo.

La Calabria di duemilacinquecento anni fa è stata la matrice della cultura romana: il Pitagorismo segnò Roma profondamente, al punto tale che all’entrata della curia della Res Publica si conservava un busto di Pitagora, i Gracchi lottarono per riformare la società su basi pitagoriche (la suddivisione delle terre conquistate ai più poveri e non ai già ricchi), Mario dopo di loro, poi Cesare, Roma unì quell’Italia che tempo prima era la Lega Italiota voluta dai Crotoniati; come un tempo, ancora oggi possiamo essere la matrice culturale di un paese in ginocchio, che necessita di rialzarsi, e da dove incominciare se non dal “Sapere”?

Conservando le nostre tradizioni salvaguarderemo la nostra identità e cercando in esse i nostri valori potremo sopravvivere ad un mondo in decadenza.

Giuseppe Barbera
fonte: https://issuu.com/ildomani/docs/21092009/38