L’interpretazione dei segni

secondo il metodo degli antichi, sui fatti moderni.

Di Giuseppe Barbera

     

Nei decenni trascorsi l’Associazione Tradizionale Pietas ha raccolto l’interpretazione dei segni di quanto avveniva d’eccezionale nel tempo, un po’ per gioco ed un po’ per la curiosità di sperimentare, per verificare se quelle teorie antiche a noi giunte, fossero da doversi considerare buffe superstizioni o tracce di una scienza complessa di epoche molto antiche. In tutto questo tempo, ogni oracolo da noi raccolto (e quindi riconosciuto come tale secondo sistemi che riteniamo antichi), ogni interpretazione dei segni celesti, di eventi straordinari, di auspici raccolti  ed ogni conseguente  previsione, hanno dato riscontri talmente precisi da imporre un freno al nostro “essere moderni”.

Tutto d’un colpo ci siamo resi conto di non essere avanti realmente nelle cognizioni scientifiche, ma di aver tralasciato un’ampia branca della scienza, perfettamente definita da Aristotele come “metafisica”, la quale invece era stata individuata immediatamente dai primi uomini primitivi ed approfondita di generazione in generazione, fino a giungere all’epoca antica, la quale risalta per la sequenza di classicismo, ellenismo ed impero romano, fenomeni nei quali venne ad inglobarsi anche l’affascinante “sapienza” egizia (sapevate che ogni imperatore romano, oltre ad essere tale, era anche Faraone d’Egitto?).

Quando l’attuale governo Conte (M5S e PD) si insediò al potere, venne meno la luce elettrica presso il palazzo del governo. Ci venne chiesto se un simile evento insolito, in coincidenza con l’inizio di un nuovo lustro, potesse essere un segno. Basandoci sulle definizioni virgiliane, riconoscemmo in tale evento un segno che voleva annunciare un periodo buio per questa amministrazione statale: chi può negare l’effettiva difficoltà che si è dovuta affrontare con il covid 19?

In prossimità di palazzo Chigi nei primi giorni del novembre 2011 un gruppo di corvi creò un’insolita disputa per strada, litigandosi una preda: un giornalista chiese chissà come un aruspice avrebbe interpretato quel segno e noi annunciammo che a breve sarebbe caduto il governo corrente: quello stesso mese fu l’ultimo di Berlusconi come primo ministro.

Certamente le profezie hanno sempre affascinato l’uomo: esse frequentemente sono ristoratrici, lasciano aperta la porta della speranza verso un mondo diverso da quello in cui si vive. Noi presso i nostri templi non usiamo tentare di individuare il futuro col fine di sottomettere le masse a vene speranze, cosa che invece vergognosamente fanno ben altre religioni e personaggi, ma usiamo interpretare segni e trarre oracoli per preparaci al futuro ed affrontare nel miglior modo possibile ciò che avverrà. Questo strumento può essere utile ad ogni uomo che ne voglia far uso. Gli antichi romani utilizzarono il sistema della tratta dei segni per secoli, scegliendo di compiere ogni azione solo in base al valore dei auspici ottenuti: quando infausti restavano fermi e non agivano. Ad esempio quando Annibale si accampò sui colli Albani, pronto ad assediare Roma, il console dell’Urbe si preparò per uscire con l’esercito ed affrontarlo in campo aperto: era convinto che la forza della legione romana fosse l’unico strumento in grado di contrastare il temibile invasore; come prevedeva la legge trasse gli auspici prima di uscire, ma essi furono negativi, motivo per il quale non poté uscire ad affrontare Annibale. Il generale cartaginese non comprendeva perché i romani restassero chiusi dentro la città, e timoroso di perdere tutti i suoi successi in un sol colpo decise di levare l’assedio alla città: i romani, rispettosi dei segni divini, furono salvi senza dover neppure combattere. Ogni qual volta il sistema degli auspici venne rispettato, fu facile cogliere il favore degli eventi. Da quando Costantino vietò la tratta degli auspici, per Roma fu un lento declino di insuccessi fino al sacco della città ed il relativo crollo dell’impero.

Nel nostro tempo, volendo praticare la Tradizione in tutti i suoi dettagli, per prima cosa l’Associazione Tradizionale Pietas ha riesumato la sapienza augurale ed aruspicale partendo dagli insegnamenti di alcuni filoni popolari calabresi e da ciò che è stato trasmesso internamente nelle accademie della “scuola filosofica classica italica”, insegnamenti che trovano corrispondenza nelle attestazioni delle fonti e dei rinvenimenti archeologici, materiale storico che è minimo rispetto a quanto è sopravvissuto, fortunatamente, nei fenomeni viventi della Tradizione. Ovviamente l’Associazione resta aperta ad integrare forme sapienziali che posano giungere da ulteriori filoni popolari appartenenti al bacino mediterraneo.

Presso i templi eretti dalla Pietas è stata formata una classe sacerdotale in grado di eseguire l’interpretazione dei segni, tratte d’auspici ed oracolari, sacerdoti che poi fanno riferimento ad uno nostro collegio augurale che si occupa di verificare il rispetto dei precetti fondamentali ed i riscontri nelle nostre fonti sacre (Eneide, Bucoliche, Georgiche, Iliade, Odissea ecc.). Questo sistema che abbiamo rinnalzato è messo a disposizione di chi ne ha realmente bisogno e di tutti i praticanti gentili: è sufficiente frequentare i templi per richiedere un consulto spirituale o, se necessario, l’accesso ad una formula oracolare.

Nel frattempo noi si continua ad osservare gli accadimenti che ci circondano ed a tener computo dello sviluppo dei tempi secondo un sistema astrologico classico, di stampo greco romano, il quale ha nette distinzioni da quel sistema astrologico moderno, fenomeno che ha preso troppo di frequente una piega di sensazionalismo commerciale a discapito  di una sana astrologia, ad oggi praticata da pochi, utile più a prepararsi allo sviluppo piuttosto che a consolarsi.

Già da tempo si parla del passaggio all’era dell’acquario: lo si fa basandosi su di un calcolo esplicato da Platone, ma che oggi spesso è presentato in una ottica “commerciale” piuttosto che “sapienziale” e ciò conseguentemente crea una diffidenza verso il fenomeno, che comunque astronomicamente rimane ed avviene concretamente.  Già dal 2012 il Sole, nel sorgere equinoziale primaverile, si è inoltrato in quella linea di confine tra le forme dei pesci e quelle della costellazione dell’acquario: siamo dunque già nella transizione. Ma non ci si aspetti di vedere un cambiamento in pochi giorni o mesi: le transizioni epocali durano anni, a volte generazioni, e chi si trova al loro interno spesso non le percepisce.

Nonostante tutti questi ragionamenti, nonostante la curiosità di comprendere cosa metta in relazione eventi e fatti susseguenti, il tempo scorre giorno per giorno, con eventi eccezionali che di tanto in tanto irrompono suscitando emozioni variabili dalla preoccupazione all’ammirazione. Vogliamo dunque condividere alcuni eventi del maggio 2020 e.v. (MMDCCLXXIII A.V.C.) con l’interpretazione secondo gli scritti degli antichi.

Il giorno 11 maggio 2020 un terremoto ha svegliato l’intera città di Roma mentre nel frattempo incombeva un intenso temporale ricco di fragorosi tuoni e lampi. Gli antichi, per interpretare i segnali del futuro ad esso connessi, guardavano la posizione della Luna. Dai nostri calcoli in quel momento la Luna era in Capricorno.

Secondo Figulo Romano, che riporta scritti di Tagete (il fanciullo divino del mito etrusco,  che  insegna l’aruspicina agli uomini), i tuoni dell’11 maggio annunciano abbondanza dalla terra e dal mare;  secondo Fonteio lo stesso evento incide sulla produttività e sulle relazioni dei popoli del nord Europa, in negativo se accade di notte. Si può dedurre che giungeranno a Roma fondi ingenti, ma ci saranno discussioni tra le popolazioni del Nord Europa. Le scosse in Toro, secondo Vicellio, incidono sul raccolto dei frutti in negativo. Curioso che pochi giorni dopo sia giunta la notizia delle difficoltà agricole in Sardegna.

Mentre incorre una pandemia che ha bloccato l’intero pianeta, prevista già nei cicli lunari trasmessi dal filone ermetico ai nostri templi ed attribuita ad una influenza lunare che ritorna regolarmente, da tempo stano provando a giungere diverse comete verso la terra: ha suscitato tra queste scalpore la cometa Atlas, visibile con il telescopio ma non ad occhio nudo. Invece oggi è visibile la cometa cigno bassa sull’orizzonte all’alba nei punti cardinali di nordest. Secondo Giovanni Lido le comete che compaiono al mattino danno segni di eventi più grandi e più rapidi rispetto a quando compaiono in altre parti del cielo. Secondo Giovanni Lido quando compaiono ad est portano sventure in oriente, quando cominciano a comparire anche ad ovest dall’oriente le sventure giungono in occidente. Si badi a distinguere l’evento del momento rispetto a fenomeni più ampli. Spesso le comete sono interpretate dai romani come eventi particolarmente fausti nei grandi tempi, ma con manifestazione di difficoltà a stabilire un equilibrio: è come dire che annunciano un periodo di sofferenza (si veda l’attuale pandemia) cui seguirà un periodo più ampio di benessere secondo le leggi che regolano gli equilibri metafisici del cosmo. Si pensi alla cometa comparsa in cielo alla morte di Cesare: ella fu interpretata come annuncio della divinizzazione di Cesare e come futura realizzazione dei suoi sogni, dunque di un periodo di pace e prosperità per Roma. Nel lungo periodo fu così, infatti seguì l’epoca augustea, ma nel breve periodo ci furono le atrocità della guerra civile prima contro i Cesaricidi e poi contro Marco Antonio. Quindi le comete annunciano stravolgimenti imminenti ma per un benessere successivo. A volte però questi fenomeni, come dicevamo, impiegano anni per giungere a compimento. Nel frattempo noi cosa possiamo fare? Ciò che dovremmo fare sempre: coltivare ciò che è sano, coltivare la saggezza, la Pietas, la correttezza, l’equilibrio, le virtù. Tutti questi sono infatti elementi che in ogni situazione della vita ci consentono di muoverci coscienti negli eventi, dominatori delle emotività, per il raggiungimento della migliore soluzione in ogni condizione. Per quanto presso i templi gentili conserviamo l’uso di osservare i segni che si sviluppano nel mondo e nel cosmo, per un fattore di “rispetto” verso la Natura, cui il gentile è sempre legato perché è essa stessa manifestazione divina, ricordiamo che alla fine dei conti, come insegnava Appio Claudio Cieco, “ognuno è il fautore del proprio destino”, e per essere attori vincenti della propria vita, nessun strumento è migliore dell’equilibrio.

 

 

Lemuria

antica festa romana.

I Lemuria sono antiche festività d’epoca Romana, che in giornate alterne si sviluppavano dal 9 al 13 di maggio. Ovidio ne parla nei Fasti, riportando il rituale di uso domestico che eseguiva il pater familias, finalizzato a scacciare i lemuri. Il rito sembra essere antichissimo, al punto tale che si perse memoria, a livello popolare, della sua istituzione e della sua reale funzione. Ovidio pertanto cerca di riesumare l’uso antico riportandone importanti dettagli (cosa rarissima per gli antichi romani, i quali erano gelosissimi dei loro rituali).

Fondamentalmente l’obiettivo dei Lemuria è quello di placare i lemuri, affinchè non interferiscano con i destini familiari. Così il pater familias s’alzava nel cuore della notte, offriva loro delle fave nere e poi li scacciava dalla casa.

Ma cosa sono i lemuri? Gli autori antichi dibattono sull’argomento, cercando di darne spiegazioni “religiose” valide per il popolo e che non profanino il sacro sapere del tempio. Fondamentalmente il Lemure è il prodotto di un’azione pesantemente ingiusta, come l’aver truffato qualcuno, aver rubato creando così danni ad altri e via dicendo. L’azione scorretta ha dunque nutrito il pensiero ingiusto, ed il pensiero che è materia si attacca al suo esecutore in maniera larvale e parassitaria, spingendo l’uomo a perpetrare gli errori ed incastrandosi così in un perenne rapporto problematico con la Nemesi, che interviene nella sua vita creando e ricreando problemi per riportare il dovuto equilibrio. Nell’immaginario romano quando un individuo moriva, tutte queste forme larvali basse non seguivano la sua anima nei cieli, bensì restavano legate ai luoghi dove la persona aveva vissuto e, desiderose di nutrimento, si  attaccavano ai parenti ed ai discendenti, da ciò il detto romano che “le colpe dei padri ricadono sui figli“.

Il rito dei Lemuria oggi. Sebbene riportato da Ovidio nei Fasti, il rito dei Lemuria è incompleto di particolari dettagli fondamentali, i quali erano scontati per un praticante antico e non lo sono per un uomo moderno. Ad esempio la dovuta preparazione al rito non è trattata nel testo poetico, così come fondamentali gesti particolari sono a malapena accennati. Inoltre il rito era riservato ai patres romani, quindi a uomini che avevano ricevuto l’iniziazione gentile. Sconsigliamo oggigiorno di tentare il rito solo perchè lo si è letto in un libro o perchè è stato riportato in un sito internet: infatti se mal condotto può procurare effetti opposti ed indesiderati, come il richiamo dei Mani paterni (ossia le forme invisibili liberatesi dopo la morte degli antenati) ma l’inefficacia del successivo esorcismo. Per accedere ai rituali romani la Pietas ha restaurato il sistema di iniziazione presso i templi, con la dovuta formazione per i praticanti, affinchè acquisiscano tutte le nozioni fondamentali per essere degni e preparati nell’esecuzione dei rituali ed informati su tutti gli elementi necessari alla loro buona riuscita. E’ sufficiente connettersi al sito www.tradizioneromana.org per reperire maggiori informazioni sui templi gentili oggi operativi e sulle iniziazioni che si applicano presso questi luoghi.

 

 

 

 

I SEGRETI DEL CIBO DELLA FESTA DEI MORTI

di Noemi Marinelli Barbera

Ogni anno, di questo periodo, tanti sono i luoghi in cui il pensiero va a chi non c’è più.

Le forzature storico religiose  hanno teso a comprimere in un unico momento una celebrazione che, nei vari posti del mondo, a seconda delle latitudini, si sarebbe vissuta nel tempo indicato dalla natura.

Le feste precolombiane dedicate ai morti ad esempio – ispiratrici degli attuali festeggiamenti mesoamericani – cadevano in estate, mentre era febbraio il tempo delle feste romane di Parentalia e Feralia.

L’esperienza del ricordo era sempre connessa a momenti in cui il buio tendeva a prevalere sulla luce, essendo il buio, a livello intuitivo, la dimensione di chi abita il regno dei morti.

Quando arriva il momento del passaggio stagionale,  le giornate si accorciano e si presenta l’occasione per il raccoglimento interiore ed esteriore (voglia di trascorrere più tempo a casa, di rientrare prima, voglia di tepore domestico).

Nel mondo antico l’uomo viveva a contatto con la natura e ne osservava i ritmi molto più di adesso, poiché da essa dipendeva la sua esistenza.

Ad oggi, sebbene sia ancora così, l’uomo moderno presume di andare per proprio conto e poter fare a meno di fermarsi e capire. Ma la forza della tradizione scorre in ognuno, malgrado il proprio livello di coscienza, e invita silentemente a perpetrare rituarie ricche di significato.

Il cibo in queste occasioni assume un potente valore magico, tantissime le ricette tramandate e preparate per i defunti: il banchetto della festa è imprescindibile, elemento di comunione e connessione tra i due regni, spesso consumato persino nei pressi del sepolcro.

Ancora oggi in India, paese tradizionale con continuità ininterrotta, dopo aver ritualizzato – e offerto cibarie, fiori e incensi sugli altari – i fedeli consumano ogni cosa entrando in comunione con il destinatario dell’offerta, sia esso un Dio, uno Spirito o un Antenato .

Allo stesso modo, nelle preparazioni per i defunti, ritornano ingredienti molto odorosi e gradevoli il cui aroma sfama i morti, poiché il profumo è nutrimento dell’invisibile, e il resto ciba i vivi, permettendo il contatto e l’unione tra i mondi.

OLTRE CHE FONTE DI SODDISFAZIONE IMMEDIATA SIA PER I MORTI CHE PER I VIVI, PER VIA DELLA LORO PIACEVOLEZZA, LE CIBARIE DEL BANCHETTO ASSOLVONO AD ULTERIORI FUNZIONI, TUTTE A VANTAGGIO DI CHI STA ONORANDO GLI ANTENATI.

L’indubbia valenza salutifera del banchetto autunnale va ricercata nelle meravigliose virtù di ciascuno dei tipici ingredienti presenti sulle tavole: ceci, zucca, castagne, mandorle, aglio, melograno, fave, fiori di sambuco, limone… tutti alimenti che depurano l’organismo e lo preparano al passaggio stagionale.

Guardando bene scopriremo che ovunque, a prescindere dai luoghi, ingredienti ricorrenti sono le spezie e soprattutto i semi (sono semi anche i legumi e la frutta secca) e l’amore è l’elemento chiave con cui preparare il tutto (il dolce pensiero per chi non c’è più e per i familiari con cui si condivide la mensa).

E allora penseremo all’analogia del seme che solo se posto nel buio della terra – sotterrato – e accudito con amore, potrà tornare un giorno a vita nuova e dare buon frutto – nel suo eterno ciclo di vita, morte apparente e rinascita -.

Portare il seme in sé per condurre in noi la sua forza, la sua intelligenza e la salubrità che ci dona, portare il seme in sé per rinnovare la certezza della vittoria della luce sul buio.

Così anche il buio diverrà momento fondamentale e sarà approcciato da ognuno con pazienza, attesa, speranza e gioia, piuttosto che nel timore.

Una piccola notazione sulle fave e le leguminose a baccello, considerate classico cibo dei morti: sono tra le uniche sementi che è possibile seminare in novembre, laddove le rigide temperature permettono solo a queste resistentissime piante di sopravvivere al gelo.

Felice festa ad ognuno.

 

Reddito di cittadinanza: un progresso antico!

Si ringrazia la testata di Ereticamente.net per la condivisione

Il polverone che sta alzando l’idea del reddito di cittadinanza è enorme. I poteri forti, secolari e millennari, si scagliano contro questo atto del governo giallo-verde come se fosse un’azione terribile e deplorevole.  La paura di fondo, manifestata pubblicamente, è che ciò accresca l’oziosità, l’evasione fiscale e le truffe contro il tesoro dello stato. Nella realtà dei fatti il reddito di cittadinanza non è un’idea nuova, ma appartiene ad un mondo antico: quello Romano! Cosa altrettanto curiosa è che non si tratta di un concetto maturatosi nel tempo, ma emerso in contemporanea alla fondazione di Roma. Plutarco, nella vita di Romolo, ci segnala che dopo la vittoria contro i Veientini, il primo Re di Roma non volle tenere schiavi, ma restituì i prigionieri di guerra agli avversari ed entrò in conflitto con i Patrizi fondatori perché evitò l’eccesso di crescita delle loro ricchezze rifiutando di distribuire loro nuove terre (oltre, appunto, a non fornirgli manodopera gratuita in forma di schiavi), bensì volle che ad ogni cittadino romano (i quali erano tutti impegnati a partecipare alle attività belliche) venissero equamente distribuite le terre conquistate. In ciò vi è un ideale sociale molto alto che vuole emancipare l’uomo dal dipendere dai ricchi dell’epoca.

A parere di alcuni storici Romolo (1) sarebbe stato eliminato fisicamente da una congiura di individui aspiranti all’accumulazione di ricchezze, e poiché egli era profondamente amato dal popolo, al punto tale che lo riteneva figlio di un Dio, venne sparsa la voce che fu visto ascendere in cielo: da ciò si sviluppò un’apoteosi di Romolo, assunto al rango di divinità col nome di Quirino, che evitò di ricercare il corpo del Re ed eventuali responsabili di un suo possibile omicidio. Nonostante ciò la politica romulea era oramai stata avviata nella città da lui fondata. Questo ideale sociale supererà i confini romani per divenire, due secoli e mezzo dopo, una ideologia comune al mondo italico: la causa di ciò sta nello sviluppo parallelo, nella pitagorica Magna Grecia, dell’intento della cancellazione della povertà tramite la distribuzione di terre (percepite come bene reale appartenente alla natura umana a differenza del denaro che invece la difetta) con la conquista di Sibari nel 510 a.e.v. da parte dei Crotoniati, guidati da Pitagora, il quale propose di distribuire le ampie campagne della città sconfitta alle classi sociali più povere. Anche qui si accese l’opposizione di una parte avida dell’aristocrazia, la quale organizzò una rivolta sanguinolenta nella figura di Cilone, che si concluse con la cacciata dei pitagorici e di un nulla di fatto per i meno abbienti. La cosa ebbe conseguenze pesanti per tutto il sud Italia perché Kroton era la polis di riferimento per le poleis Magnogreche. A riprese i Pitagorici riconquistarono il controllo della città, ma qui gli scontri sociali erano talmente intesi, tra le diverse fazioni, che si dovette fare di Taranto la novella polis a guida della “Lega Italiota”.

Osservando il fenomeno di nascita della prima Italia, risalta la presenza di un filo conduttore che ideologicamente vuole i cittadini liberi da ogni forma di servitù tramite un reddito pro capite che provenga dalla terra concessagli dallo stato. Il fenomeno è oltretutto meritocratico e spinge l’uomo allo sviluppo del concetto comunitario perché arriva alla conquista della sua “indipendenza economica” tramite la disponibilità d’impegno data alla comunità, vuoi servendo nell’esercito od in altre strutture statali. A questa linea ideologica si oppongono gruppi di latifondisti che ambiscono al controllo dello stato e delle ricchezze da esso reperibili.  Quando Roma arriva allo scontro con Taranto, nel 280a.e.v., ci si rende conto di come la Magna Grecia sia animata dalle medesime aspirazioni civili e sociali dei Romani, motivo per il quale questi ultimi elaborarono una leggenda che voleva Re Numa discepolo di Pitagora (cosa impossibile perché i due sono vissuti a circa due secoli di distanza), un motivo di propaganda che risultò credibile a causa delle medesime ideologie attive tra italioti e romani (2). La politica della libertà attraverso il possesso o reddito terriero si vide contrapposta all’ottica delle società fondate sul commercio, come quella punica, dove la ricchezza fondamentale non era la terra bensì il denaro. Gli scontri con la plutocrazia cartaginese si conclusero con la distruzione di Cartagine del 146 a.e.v.

Dopo tale evento le tensioni sociali italiche si accentuarono: i Gracchi proposero, per l’ennesima volta, la distribuzione di terre ai meno abbienti: con la crescita del dominio romano aumentavano i cittadini e le necessità ad essi connesse. I nobili intenti di questa famiglia romana trovarono la contrapposizione dei soliti “poteri forti” che, questa volta, li eliminarono spietatamente in pubblico. Dei terreni di Cartagine non si fece più nulla, ed una enorme ricchezza pubblica restava lì, bloccata ed improduttiva. Nel giro di mezzo secolo i contrasti sociali giunsero ad una terribile guerra dove le città italiane si allearono contro i poteri forti di Roma per vedersi riconosciuta la cittadinanza e poter prendere parte alle votazioni inerenti la gestione delle nuove terre: fu la guerra sociale. Silla ufficialmente vinse, ma dovette concedere la cittadinanza romana ai “socii” (alleati) italici, i quali, con ciò, furono i veri vincitori. L’identità italiana raggiunse finalmente la realizzazione del suo ideale sociale sotto Cesare: questi nel 59 a.e.v. concretizzò la riforma agraria, facendo ottenere ad ogni cittadino la quantità di terreno necessario all’indipendenza della propria famiglia.

Col tempo Roma si trasformò in un impero sempre più strutturato nella realtà statale, da ciò ne conseguirono la crescita di città sempre più grandi con forte intensità demografica: si sviluppò allora una nuova forma di reddito, dapprima consistente nella distribuzione di alimenti (farina, olio, vino) alle classi meno abbienti, fino alla distribuzione di somme di denaro da Augusto in poi: si tratta del congiarium pro capite, ovvero una somma di denaro minima considerata utile ad avere uno stile di vita dignitoso, che veniva distribuita alle classi meno abbienti per cancellare la povertà. La Res Publica dei romani fu la più longeva, nella storia dell’umanità, perché si fondava su un ideale sociale che voleva la cancellazione della povertà. Persino la schiavitù a Roma ebbe diritti che altrove non esistevano: lo schiavo romano riceveva un reddito che poteva essere fittizio (un credito segnato) o reale (in monete), grazie al quale poteva comprarsi la libertà una volta raggiunta la cifra dovuta. Certo Roma ha avuto molti elementi contrastanti, ma dall’antica italicità si possono trarre valori molti sani ed in alcuni casi risolutivi per problematiche attuali che i nostri antenati già affrontarono.

Nella società odierna non sono più i valori ad essere il centro della società, ma il denaro, ciò ha fatto sì che una riforma di diritto, come quella attuata dal governo di Lega e Cinque Stelle, è mal vista, quasi si subisse un furto, mentre a Roma il denaro non era concepito come obiettivo di vita ma come strumento per una vita dignitosa. Le nostre nazioni divengono moderne nel momento in cui si rifanno alla politica romana: lo stesso concetto di repubblica nasce nell’antica Roma e viene ripreso dall’illuminismo in poi. Il corpo dei diritti civici nasce a Roma e da Roma lo riprendiamo. Recuperare il concetto di “reddito sociale”, concepire lo stato come struttura agente super partes per la risoluzione delle differenze sociali, ciò è profondamente moderno, poiché la modernità trae origine dalla romanità: la repubblica francese, ricca di aquile e altri simboli romani, ricca di titoli ed istituzioni riprese dalla Roma antica ne è la dimostrazione concreta e reale. Questo processo di ripresa e sviluppo non è ancora terminato perché molte, delle istituzioni positive romane, sono da riprendere e svilupparsi, ed il nostro governo attuale sta affrontando una riforma moderna che appartiene alla storia del nostro paese, dove per secoli città e fazioni hanno lottato per poter vedere il loro ideale realizzarsi a discapito dei prepotenti e degli avidi.

Note:
1 – Sulla reale esistenza di un primo re di Roma l’archeologia ha fugato ogni dubbio. A tal riguardo si vedano le ricerche condotte dall’archeologo Andrea Carandini sul Palatino. Un primo re v’è stato, ha fondato la città ed ha eretto una cinta muraria sul Palatino. Certamente vi sono elementi mitistorici e propagandistici elaborati dalla storiografia romana, ma il fatto che si attribuiscano determinate riforme al primo re significa che per i romani, ideologicamente, esse erano importanti e che erano intenzionati a promuoverle;

2 – Vedansi gli atti del convegno “Il pitagorismo in Italia ieri e oggi”, Università La Sapienza di Roma, 2005.

Giuseppe Barbera, archeologo e presidente Pietas.

MMDCCLXXI DIES NATALIS URBIS

 

Il 21 ed il 22 aprile 2018 e.v. l’Associazione Tradizionale Pietas ha svolto, come ogni anno, i festeggiamenti per i Natali di Roma.

Si tratta del momento più importante per le nostre comunità, quello in cui tutte le rappresentanze territoriali di Pietas si incontrano a Roma per onorare gli dèi e disquisire sui temi spirituali ed etici a noi più cari.

 

Le attività del tempio di Giove a Roma, per i Natali dell’Urbe di quest’anno, si sono aperte il 18 aprile 2771 a.v.c. (2018 e.v.) con l’accoglienza di una delegazione Greca, condotta da Vlassis Rassias, venuta ad onorare il Tempio di Giove nel Sanctuarium Pietatis. Allo scambio di doni con i rappresentanti Pietas, è seguito un simposio dove si è dialogato in merito ad un progetto sulle comunanze greco-romane, proposto dal gruppo Ellenico Thyrsos nel 2767 a.v.c. (2014 e.v.) proprio presso l’allora erigendo Sanctuarium Pietatis.

Nella sua sede Romana Pietas ha gestito l’accoglienza soci nella settimana a cavallo dei festeggiamenti, con ottimi risultati logistici. Particolari ringraziamenti vanno al gruppo amico Fons Perennis, che ci ha coadiuvato nella gestione dei sovrannumeri dei gentili giunti a Roma.

In occasione delle feste correnti, il socio Luigi Fratini ha composto un inno per l’Associazione Pietas, accolto dal presidente e dal direttivo nazionale con grande soddisfazione sotto auspici fausti e felici.

Rito al circo massimo

Il 21 aprile, alle ore 11.00, è stata convocata, secondo rito, l’assemblea dei soci Pietas presso il circo Massimo, dove si è svolta la cerimonia rituale in onore dei Numi tutelari di Roma all’interno del pomerio. Ringraziamenti per il sostegno logistico dell’evento vanno al Gruppo Storico Romano che ha concesso l’uso di spazi da lui allestiti.

sala piena 2

Sempre il 21 aprile, alle ore 15.00, si è svolta una conferenza organizzata presso Palazzo Falletti, dove sono intervenuti numerosi relatori sull’argomento del “Fuoco di Vesta”.
In occasione della conferenza è stato presentato anche il nuovo numero della rivista Pietas: “Civitas Sapientiae”. Particolari ringraziamenti a Fons ed Ereticamente per il sostegno a questo evento.

copertina Pietas 14

Alla sera, presso il tempio di Giove, è nato spontaneamente un banchetto con numerosi soci giunti a prendervi parte.

Il 22 aprile, alle ore 10.30, i soci si sono incontrati presso il Tempio di Giove, dove si sono svolti riti di offerte e onorificenze alla triade del Tempio.

Il presidente Pietas, soddisfatto della magnifica riuscita degli eventi di quest’anno, ha decretato che venga ritualmente appesa la Palma della Vittoria sulla porta del tempio di Giove come gesto di ringraziamento agli Dèi.

Caristia e San Valentino

Il 22 febbraio nell’antica Roma si festeggiavano i Caristia, la festa dell’amor familiare e coniugale. Si trattava di una festa riguardante l’ambito privato, non quello pubblico, durante il quale i familiari si riunivano attorno il Larario per fare offerte ai Penati e banchettare assieme. Il banchetto aveva la funzione rituale di ricongiungere i familiari in caso di eventuali dissapori.

Il 13 febbraio incominciavano i Parentalia, giorni dedicati agli antenati, ai quali seguivano i Feralia del 21 ed i Carstia del 22.

Il tutto era un ciclo dedicato alla famiglia, dall’amore commemorativo per i parenti defunti a quello per i vivi. Particolarmente il 22 i coniugi festeggiavano la loro unione ed il loro legame amoroso scambiandosi doni.

Nonostante l’abolizione forzata del culto antico, l’uso popolare dello scambio di doni tra coniugi rimase, in particolar modo tra gli innamorati che, il 14 febbraio, all’inizio delle antiche feste dedicate all’amore familiare, ancora oggi si scambiano doni.

LODE AL SOLE INVITTO

helios

LODE A TE O SOLE RADIANTE IDDIO, VINCITORE DEL FREDDO INVERNO, FECONDATORE DELLA FREDDA TERRA, POSSENTE, INVITTO, DISTRUTTORE DI TENEBRE, DEH’! M’ODI, BEATO, ETERNO OCCHIO CHE TUTTO VEDE, TITANO D’AUREA LUCE, IPERION, LUX COELI, DA TE IN TE GENERATO, INSTANCABILE, DOLCE VISTA DEI VIVENTI, A DESTRA GENITORE DELL’AURORA, A SINISTRA DELLA NOTTE, TU CHE MEDI LE STAGIONI, DANZANDO CON PIEDI DI QUADRUPEDE, BUON CORRIDORE, SIBILANTE, FIAMMEGGIANTE, SPLENDENTE, AURIGA, CHE DIRIGI LA VIA CON I CIRCOLI DEL ROMBO INFINITO, PER I PII GUIDA DI COSE BELLE, VIOLENTO CON GLI EMPI, DALLA LIRA DORATA, TRASCINANTE LA CORSA ARMONIOSA DEL COSMO, INDICANTE LE BUONE AZIONI, FANCIULLO CHE NUTRI LE STAGIONI, SIGNORE DEL MONDO, SUONATOR DI SIRINGA, DALL’IGNEA CORSA, TI VOLGI IN CERCHIO, PORTATORE DI LUCE, DALLE FORME CANGIANTI, PORTATORE DI VITA, FECONDO PAIAN, SEMPRE GIOVANE, INCONTAMINATO, PADRE DEL TEMPO, GIOVE IMMORTALE, SERENO, PER TUTTI LUMINOSO, OCCHIO COSMICO CHE CIRCOLA DAPPERTUTTO, CHE TRAMONTI E SORGI CON BEI RAGGI SPLENDENTI, INDICATORE DI RETTITUDINE, AMANTE DEI RIVI, PADRONE DEL COSMO, CUSTODE DELLA LEALTA’, SEMPRE SUPREMO, AIUTO PER TUTTI, OCCHIO DI CORRETTEZZA, LUCE DI VITA; O TU CHE SPINGI I CAVALLI, CHE CON LA SFERZA SONORA GUIDI LA QUADRIGA: ASCOLTA LE PREGHIERE, ED AI PII INIZIATI MOSTRA LA VITA SOAVE.

Lari e Penati

Lare Domestico
Statuetta di Lare Familiare

I geni protettori nella tradizione romana.

Nella tradizione romana i Lari e i Penati sono divinità legate ai luoghi abitati dagli uomini.

Pare che il termine Lare sia presente anche nella tradizione etrusca, dove esseri divini sono rappresentati con le ali. Alcuni hanno associato l’idea di “Lare etrusco” a quella di “angelo cristiano”. Si noti che il Lare etrusco ha le ali ed è rappresentato generalmente nell’atto di sollevarsi in volo; il termine angelo proviene dal greco anghelos, che significa “messaggero”. Cosa abbastanza curiosa il dio Mercurio è definito Messaggero ed è rappresentato con i calzari alati. Certamente in tutte le tradizioni ciò che è rappresentato con le ali si richiama a dimensioni superiori e alla comunicazione con queste.

Se è vero, come dicono Elio Ermete e altri grandi maestri delle tradizioni, che ogni divinità rappresenta/è un forza, allora i Lasa etruschi rappresentano/sono una forza di ascensione e comunicazione col cielo, allo stesso modo di Mercurio e dei Lari Romani. A prova di ciò si può richiamare un antico rito in uso in alcuni luoghi della Calabria. Le sere dei giorni di festa la tavola viene apparecchiata secondo determinate regole antiche. Finita la cena si lascia la tavola pulita e apparecchiata col cibo nel posto riservato al “lareddru” secondo dettami che vengono trasmessi di generazione in generazione. La notte non si passa dalla cucina per non infastidire questo presunto ospite. Se al mattino il piatto si trova vuoto si dice che “u Lareddru ha gradito” (il Laretto ha gradito). Questo antico rito di offerta al Lare della casa si tramanda secondo regolari riti cittadini da diversi secoli e alla domanda “cosa è u lareddru” si usa rispondere che è l’angioletto che abita la casa. Si evince da ciò un’assimilazione dell’antico rito sotto una forma cristiana e che chiaramente il termine Lareddru derivi dal termine Lare con l’assunzione di un suffisso diminutivo –ddru, forse finalizzato a rendere questa figura originaria della religione precedente più accettabile a chi vede con cattivo occhio il perpetrarsi di determinate forme tradizionali.

Il Lare è una divinità domestica e gli si officiano offerte e il rituale su esposto svela che determinate tradizioni hanno assunto una nuova veste ma si sono mantenute.

Castaneda definisce i luoghi concavi abitati da spiriti; il suo maestro pensa che esistano anche nelle automobili e in tutti i luoghi artificialmente prodotti dagli uomini, come ad esempio nelle case. Se ciò fosse valido anche per la tradizione romana avremmo una risposta significativa alla domanda: perché nei luoghi abitati vi sono Lari e nelle campagne Geni?

Perché il Lare è richiamato dall’azione artificiale dell’uomo, il Genio dall’azione della Natura di creare un luogo. Riscontriamo nelle città antiche la presenza di specifiche divinità all’interno delle mura urbane, altre venerate in santuari all’infuori di queste stesse mura.

Una stessa divinità può essere un Lare cittadino o il Genio di un promontorio. Perché Venere è Lare dei Romani (insieme a Marte) ma allo stesso tempo Genius Loci al Capo Ericino? Perché nella creazione della città di Roma in un modo o in un altro Venus è stata attratta dai luoghi prodotti dagli uomini, ad Erice Venus era già presente prima come Genius Loci, riconosciuta tramite una sua epifania dagli uomini, ordinò l’erezione di un suo Santuario, dunque fu attratta precedentemente dalla Natura che creò il capo ericino.

Una simile interpretazione bene spiega il perché dell’assioma romano: i Lari vivono nei luoghi abitati dagli uomini. Essendo il Lare un ente vivente, invisibile a meno che non decida di presentarsi materialmente, è una forza agente che interagisce con l’ambito umano. Si hanno conseguentemente un’infinità di forze agenti in diversi aspetti: i Lari familiari (quindi i geni protettori della famiglia), i Lari compitali (abitanti degli incroci), i Lari triviari (abitanti dei trivi), i Lari della casa intesa come luogo fisico. I Lari familiari, il Genio di ogni componente della famiglia, le genialità che si occupano della dispensa rientrano nella cerchia delle divinità domestiche. Perché queste divinità agiscano a nostro favore necessitano una serie di riti atti a creare una collaborazione tra essi e gli uomini (una sorta di Pax domestica, per riprendere le parole di Elio Ermete).

Nella tradizione romana i gentili attuano una serie di pratiche di realizzazione dell’individuo a partire dalla maggiore età con l’assunzione della toga virile. Il richiamo agli antenati ha finalità evolutive, poiché si richiamano anime che conoscono la via di realizzazione dell’individuo e possono aiutare i loro discendenti; per questo motivo comunemente si usano considerare gli antenati membri delle divinità domestiche.

Nella rituaria gentile il praticante conosce i propri Lari ed Elio Ermete nelle sue “Conclusiones Gentiles” spiega che: “Vesta è la più onorata, poiché il  fuoco ch’ella custodisce tutto permette…” , che i Lari rientrano nella gerarchia divina da lui esposta e che “la divinità gentilizia sempre segue la famiglia, nei luoghi in cui essa sceglie di vivere, così il genio di  ognuno segue il suo amato ovunque e sempre……esistono metodi di chiamata dei Lari, i quali allontanano entità fastidiose e negative…ma la chiave di tutto è sempre il carattere del gentile, che gli permette di avere buone relazioni con gli uomini e con gli dei…”

Angerona ed il Giove Fanciullo

tempio-di-Giove-Anxur

Pochi lo sanno,  ma la Dea Angerona è strettamente connessa con il Giove Fanciullo, il medesimo venerato ad Anxur (nome volsco di Terracina).
Nell’antica Roma, durante i Divalia del 21 dicembre, avvenivano  in contemporanea ai festeggiamenti saturnali,  i riti solari per il solstizio e si applicavano i misteri di Angerona, i quali connettono il silenzio alla predestinata nascita del Sole; A Terracina festeggiato come un Giove Fanciullo (Iuppiter Anxur): non a caso l’Associazione Tradizionale Pietas ha scelto di festeggiare il solstizio presso il tempio da lei eretto a Giove. Fondamentale anche il nesso tra Angerona e Venere Libitina (è nel tempio di questa dea che si serbava il sacello dedicato alla signora del Silenzio). A sua volta anche Libitina è connessa alla morte del Sole (21 dicembre) ed alla coscienza della sua certa rinascita (25 dicembre dies natalis Solis Invicti). In tutto ciò la presenza di un sacello dedicato a Venere presso il tempio di Giove Anxur ha mandato in crisi gli archeologi che cominciano a lanciare svariate ipotesi che, prive della cognizione della Tradizione, allontanano dalla comprensione del reale nesso tra Venere e Giove fanciullo.
I medesimi misteri, una volta riconquistatili, Pietas li serba e festeggia nel Sanctuarium Pietatis (dove è stato eretto il tempio di Giove) attenendosi fedelmente alle fonti ed alle logiche antiche.

Roma. Tornano i Lupi.

Sensazionale notizia e splendido auspicio. Nell’area dell’oasi naturale LIPU Castel di Guido e della Riserva Naturale Litorale Romano già dal giugno 2013 era stato individuato l’arrivo di un lupo, battezzato Romolo. Trattasi di un rarissimo canis lupus italicus, simbolo della città eterna, animale sacro al dio Marte, padre di Romolo, ed al dio Apollo, divinità sotto la cui tutela Augusto pose l’impero. Intorno al 2014 venne individuato un nuovo lupo, battezzato Numa. Si pensava alla sporadica apparizione di lupi solitari, ma nel corso del 2016 si è scoperto che Numa ha trovato una compagna! Si riversano in questa primavera le speranze che da questa coppia nascano dei lupacchiotti a sancire il ritorno dei lupi a Roma: un segno della Natura che porta alla memoria quelle mitiche forze che diedero il via all’esperienza del luminoso centro spirituale dell’umanità, Roma.