Mundus Patet 2767! S’è fatto bene a “conferenziare”?

mundus“Qualcuno” sostiene che “il Mundus Patet non sia giornata adatta ad un incontro culturale, perchè per i Romani in quel giorno non si dovesse fare nulla di rituale e importante”.   Tale definizione è sbagliata, faziosa,  perché nella realtà dei fatti l’apertura del Mundus è un gesto rituale, ed a quella apertura si compiono offerte di primizie, riti che lo stesso Romolo inaugurò. Quindi certi riti si fanno, anzi è obbligatorio compierli! Semmai nei giorni di Mundus era cosa buona evitare di dedicarsi a determinate opere per dare a quella giornata il giusto valore. Un po’ viene a mente il detto popolare “di Venere e di Marte né si sposa, né si parte né s’inizia l’arte”, difatti le proibizioni vigenti consistevano nel non attacar battaglia, non fare leva, non si convocava il popolo a votare, non si operava nella pubblica amministrazione (gli uffici restavano chiusi), non si salpava e né si contraeva matrimonio (Macr. Sat. 1, 16, 16). Il divieto a compiere atti pubblici in quei giorni era perchè i romani riflettessero sull’importanza misterica di tale festa. L’esecuzione di adeguai riti della giornata (apertura del mundus, formule ed offerte, relativa chiusura rituale ad un determinato orario) era un obbligo per i sacerdoti e magistrati adibiti ai compiti, talmente importanti che il resto delle attività cultuali restavano ferme per evitare che questi riti “occulti” venissero tralasciati. In questa giornata i sacerdoti compivano riti per aprire la “connessione” tra i “mondi”. Essendo il dies mundi Cereris era doveroso, da parte dei gentili, compiere determinati riti. Chi non conosce codesti riti non deve neppure provare ad emulare, o imitare o parodiare, perché essi sono di tale potenza che porterebbero sciagura a chi s’approcciasse a farli inconsciamente. Nella pratica romana è infatti fondamentale la “coscienza” di ciò che si compie ritualmente. Mai operi chi è nel dubbio, altrimenti la sua arroganza e presunzione, nei confronti del rito, saranno la sua rovina. Per realizzare un mundus e compiere i “dovuti” gesti rituali, bisogna avere a fondo intuito il significato misterico del rito ed averlo ricevuto legittimamente. L’incontrarsi, dopo 2000 anni, in un giorno di Mundus e compiere una conferenza sulla Romanità è una cosa corretta, perchè essa non è un’attività lavorativa ma un gesto che è finalizzato ad aprire quella fossa di contatto con un mondo occulto. Questo occulto mondo misterico della Tradizione, nel giusto tempo calendariale, deve tornare a congiungersi col mondo dei vivi praticanti. La conferenza dell’8 novembre 2014 e.v. è stato un gesto analogico al rito del Mundus Patet, giorno in cui “tutti i mondientrano in contatto, dunque giornata adattissima allo studio piuttosto che al far leva, o atti d’ufficio, o matrimoni, o guerre o riti pubblici. Ci si è mossi nel pieno rispetto dei precetti patrii: quell’8 novembre 2767 diversi gruppi di Tradizione si sono incontrati pacificamente senza sigillare il ben che minimo accordo, senza farsi o dichiararsi guerra, ma semplicemente ogni relatore ha esposto le sue idee sul “contatto” tra dimensione umana e dimensioni divine. Nulla di più appropriato! Gli stessi organizzatori dell’evento (la redazione di ereticamente.net) non avevano ragionato su tutto ciò, hanno semplicemente agito e Pietas ha aderito volentieri ad un atto così profondo che solo i Numi potevano esserne stati ideatori, utilizzando, come al loro solito, gli uomini.  Chi è rimasto a casa a leggere un libro sui miti, magari anche fumando un buon sigaro e sorseggiando un buon vino, è stato pio. Chi è venuto alla conferenza, per avere informazioni che lo aiutassero a riflettere sui misteri della romanità, è stato pio. Chi, in malafede, l’8 novembre 2014 avesse fatto un giro di telefonate per raccogliere accoliti alla detrazione di tale evento, avrebbe violato la prescrizione dei padri a “non far leva”. Chi, quell’8 novembre, avesse mosso parole polemiche per far guerra a qualsivoglia gruppo, avrebbe violato le norme dei padri.
Dunque chi sostiene che la prescrizione dei padri fosse di non far nulla, ma allo stesso tempo solleva polemiche, interpreta male e viola una chiarissima prescrizione pontificale espressa nella Kalendarium.
Chi non ha compreso il significato misterico del rito del Mundus non può riconoscere quali siano le azioni analogicamente più corrette in riferimento a quel rito; chi invece ha inteso l’importantissimo arcano, chpietas 11 rivistee si cela dietro il gesto di tale rito, bene comprende che solo i Numi della Tradizione Patria potevano ispirare gli uomini ad incontrarsi in un giorno di Mundus per favorire l’incontro di forze provenienti dai diversi mondi. E quest’azione di conciliazione ha mondato le impurità di ogni cattivo pensiero reciproco. Ed è proprio in un giorno di Mundus che tante cose, che erano dubbie ed occulte, son venute alla Le vie al SacroLuce. Ringraziamo tutti i relatori e gruppi che hanno preso parte all’evento. Per gli studiosi curiosi di conoscere quale “parte di sapere” sia venuta alla luce nel mundus dell’8 novembre MMDCCLXVII sono disponibili gli Atti del Convegno “Le Vie al Sacro della Tradizione Classica”. Per ordinarli scrivere a info@tradizioneromana.org

De Superbia

di Elio Ermete
estratto da Pietas 1

Il cavallo di Troia è simbolo di un'azione necessaria all'abbattimento dei propri limiti, rappresentati dalle mura della città di Troia, la quale deve cadere affinchè in futuro Romolo fondi la Roma quadrata
Il cavallo di Troia è simbolo di un’azione necessaria all’abbattimento dei propri limiti, rappresentati dalle mura della città di Troia, la quale deve cadere affinchè in futuro Romolo fondi la Roma quadrata

Nel mondo latino la parola superbia indica il sentimento dell’orgoglio, distinto da quello della fierezza che si traduce decus: ingens suis decus attulit (è motivo d’orgoglio per la sua famiglia). Il termine inflatus denota invece un soggetto tronfio di se stesso, gonfiato dalla propria superbia, come se un demonio gli avesse soffiato in corpo il sentimento dell’orgoglio.

Nella cultura romana l’orgoglio in senso sano è la fierezza, vocabolo che preserva il tema dell’ambito selvatico, la selva, il disordine remio, difatti feritas significa anche selvatichezza, pertanto anche questo è considerato un sentimento negativo, tranne quando è generosus animus.

Nella tradizione classica i soggetti orgogliosi vengono puniti dal Padre degli dei od anche dai suoi figli se direttamente chiamati in causa; nel mito i soggetti orgogliosi non trovano mai la via della realizzazione.

Anchise, il padre di Enea, ottenne l’amore di Venere, ma egli si vantò di aver ottenuto tale dono divino, vanto finalizzato ad accrescere il suo orgoglio di fronte ai suoi simili, ma che gli costò la perdita della vista e dei favori della dea.

Achille è l’orgoglio assoluto di se stessi e mai riuscirà ad entrare nella città di Troia per espugnarla, ovvero il soggetto orgoglioso non riuscirà mai ad abbattere le costruzioni mentali che ha recepito e realizzato in sé, passo necessario (appunto rappresentato dalla guerra di Troia) per poter intraprendere il viaggio di ritorno alla patria d’origine dell’anima. Per quanto l’eroe figlio di Peleo ottenga riconoscimento ed onori dagli uomini, mai realizzerà il primo passo dell’opera alchemica[1]. Egli ebbe la scelta fin dall’inizio: o partire per i lidi orientali per veder soddisfatto il proprio orgoglio e morire o vivere in eterno nella sua dimora.

Agamennone per il suo forte orgoglio costruisce un altro sé, un elemento estraneo a lui stesso (Egisto) che s’impossessa della sua anima (rappresentata dalla moglie Clitennestra) e che poi lo uccide.

Niobe usò i suoi figli per soddisfare il suo orgoglio, vantandosi di averne generati più di Latona volle farsi credere superiore alla madre di Apollo e Diana, ma ciò le costò la vita.

Aracne era bravissima nell’arte della tessitura, che le fu insegnata dalla dea Atena, ma il suo orgoglio le fece credere di poter essere superiore ad una dea e sfidò la sua maestra in una gara di tessitura. Dopo averla sconfitta la Glaucopide dea trasformò la presuntuosa in  ragno.

Il sileno Marsia[2], orgoglioso delle melodie che riusciva a suonare con il flauto di Minerva sfidò lo stesso Apollo ad eguagliarlo con la lira: il vinto sarebbe stato alla mercé del vincitore; sconfitto fu fatto scuoiare vivo dal dio solare.

L’orgoglio è una crescita alternativa  e deviata del sé spirituale, che porta ai peggiori sentimenti che l’animo umano possa manifestare: pregiudizio, vanagloria, superbia, sopravvalutazione di se stessi fino alla propria distruzione, come il mito stesso testimonia.

La nascita di questo elemento avviene per una deviazione della rota solare causata da una sua disfunzione, difatti l’orgoglio è l’espressione dei valori solari capovolti.

Il soggetto solare è disponibile e silenzioso, tanto che il dies silentii è alla vigilia della nascita del Sole, sa ascoltare, valuta con equilibrio le ipotesi che gli vengono proposte e trova la giusta collocazione ad ogni pianeta perché possa ruotare, chi vicino, chi lontano, attorno di lui. L’uomo orgoglioso si considera superiore e si concede con difficoltà, parla per dare vanto a se stesso e non ascolta i giudizi degli altri ritenendo le persone in un gradino inferiore al suo, vuole forzare la funzione degli individui che gli stanno attorno, convinto di essere in grado di scegliere per loro, fino a perderli ed allontanarli da sé.

La larva dell’orgoglio è generata da una iperattività del plesso solare, per gli yogi sull’ombellico, e può nascere anche per una erronea alimentazione; coscienti di ciò i sacerdoti antichi eseguivano digiuni regolari scanditi dall’anno solare per mantenere il proprio metabolismo in armonia coll’astro celeste, evitando così di alimentarsi di sentimenti sbagliati ed infausti. Una volta generata suddetta larva pesante, dai Romani chiamata Lemure[3], essa si accresce intelligentemente agendo sulle funzioni spirituali dell’individuo: infatti alla spinta operativa del rito, che dovrebbe far ascendere gli elementi puri fino alla nascita della Minerva dal capo, s’insinua detto orgoglio sostituente i puri sentimenti animici, da ciò si avrà l’ascesa di un Marsia invece che di un Quirino.

Per far ascendere la forza animica ripulita dall’azione solare/spirituale che ha impresso della sua luce l’anima/luna necessita un’azione marziale, quando però questa spinta è sporcata si ha il Marsia, e seppure entrano in sintonia tutte e sette le note planetarie grazie all’azione dell’arte (questa rappresentata dal flauto di Minerva, nel quale si soffia), essendo sporca la matrice ascensionale (quella che gli Indù chiamano kundalini e noi Romani Iuno) invece di generarsi il fuoco interno delle rigenerazione si sentirà un bruciore sulla pelle simboleggiato nel mito dallo scuoiamento. Ma l’orgoglio stesso farà credere al praticante di essere nel giusto ed egli continuerà fino alla sua rovina poiché in realtà starà svolgendo l’azione di prevaricazione delle mura di Remo, gesto che garantisce la sua morte.

Il soggetto solare invece incarna l’azione romulea e non permette al Remo di prevaricare le mura entrando nel Palatium/corpo, compiendo un gesto di tutela della propria Urbs.

Il sentimento dell’orgoglio, essendo faunico e remio, è un impulso disordinato e caotico, manifestazione della crescita del Cacodaimon a discapito dell’Agatodaimon, è quindi un elemento distruttore. La volontà di imporsi sugli altri porta solamente al dissolvimento degli ambienti umani, così il Cacodaimon riempirà il cuore dell’orgoglioso di disprezzo per gli altri, non comprendendo l’uomo che egli è fautore del proprio destino e che le scelte fatali che sta affrontando lo porteranno ad un morboso attaccamento alla materia che sempre più lo allontanerà dalla dimensione della luce solare. Schiere di demonii risponderanno alle sue chiamate e crederà di essere potente e sulla giusta via, non comprendendo che per lui si staranno aprendo le porte di un abisso di materia scura, il guadagno di denaro e l’avanzamento di carriera non saranno in questo caso un prodotto gioviano, bensì il risultato della deviazione solare in ricchezza saturnia, solitudine che cresce quotidianamente perché in nessun rapporto umano troverà più la vera scintilla erotica, di Amor puro, che tiene uniti amici, familiari e i nostri amori

Il gentile che abbandona la gentilezza, o che usa questa ipocritamente, non comprenderà mai nessuno dei misteri luminosi e trascorrerà la sua vita in gioie effimere e noie preludio di un cammino di buio solitario.

Alcuni autori moderni considerano solare l’atteggiamento d’imposizione della propria volontà sugli altri, pensano che la dignitas consista nel comportarsi come esseri superiori sugli altri, ma queste sono vanaglorie, portatrici di squilibri solari, matrici di lemuri che se prendono il sopravvento sull’individuo lo condannano ad un lungo buio mentale, che lo porterà al fanatismo ed alla superstizione, lo stesso sentimento che ha spinto molti fanatici religiosi autori dei peggiori eccidi della storia, come il vescovo cristiano Teofilo, che spinse Teodosio a far vietare ogni culto pagano e che aizzò intere folle di fedeli contro i templi, così come il vescovo Cirillo ordinò ad un gruppo di uomini di uccidere Ippazia, la direttrice della Schola Pitagorica Alessandrina, i quali la attesero mentre rientrava nella sua dimora per prenderla, trascinarla alla chiesa di Cesario, strapparle le vesti, farla a pezzi con dei cocci e cavarle gli occhi mentre era ancora viva[4]. Quegli uomini che cercavano la luce non si resero conto che per il loro orgoglio, per il pregiudizio e per la presunzione uccisero l’ultimo astro luminoso di Alessandria; qualcosa che invece avrebbero amato se fossero stati gentili nell’animo. Sta all’uomo la scelta. O una vita romulea, costruttiva per se e per gli altri, o la distruzione remia. Il mito lo testimonia, ma la maledizione degli uomini è che essi dimenticano.

[1] S’intende qui il processo di trasmutazione della propria interiorità

[2] Vedremo più avanti perché Marsia è una manifestazione marziale silvestre, dunque faunica e deviata, accrescitrice dell’orgoglio.

[3] Per i Romani i lemuri erano le larve sprigionatesi da Remo, esse venivano credute, in alcuni casi, ereditate dai padri, ciò perché la comunione quotidiana in famiglia porta anche alla trasmissione dei sentimenti dal soggetto capo della catena domestica a tutti gli anelli componenti. Per tali motivi un capo famiglia deve essere sempre un esempio di rettitudine. Per il bene dei suoi stessi congiunti.

[4] Damascio cit. 76, 24-81.